L’Inps riconosce il diritto a percepire la Naspi, ma si rischia molto

C’è qualcosa che non torna, nel governo e ai piani alti dell’Inps. Nei giorni scorsi, l’Istituto previdenziale, nell’occhio del ciclone per le tante, troppe promesse inevase del suo presidente Pasquale Tridico, si è sentito in obbligo di chiarire un passaggio rispetto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Come noto il Cura Italia e poi il decreto Rilancio hanno introdotto un divieto di licenziamento per motivi economici dal 17 di marzo allo stesso giorno del mese di agosto, con un vuoto temporale il 18 maggio, quando, per effetto della ritardata entrata in vigore del già citato decreto Rilancio, le imprese avrebbero potuto licenziare. Ora, anche il ministero del lavoro si è reso conto che i licenziamenti economici, benché vietati, continuano ad essere intimati, per cui ha ricordato che il diritto alla Naspi permane. Di conseguenza, anche l’Inps si è allineato a questa disposizione, riconoscendo il diritto alla Naspi, sempre naturalmente se dovuta (la Naspi ha una durata proporzionale ai mesi di contribuzione valida nei quattro anni precedenti) e prevedendo il successivo recupero nel caso in cui il lavoratore venisse reintegrato nel posto di lavoro. Intanto, però, il divieto di licenziamento, la cui natura è però in discussione, non copre i licenziamenti disciplinari né quelli per superamento del periodo di comporto, vale a dire le assenze per malattia, all’ordine del giorno nel periodo Covid-19.