I Talebani dell’Occidente
di Mario Bozzi Sentieri

Era il marzo 2001, allorquando il mondo rimase annichilito di fronte alle immagini della distruzione, a colpi di dinamite, da parte dei Talebani afghani, delle statue del Buddha di Bamiyan, due manufatti monumentali di 55 e 33 metri, scolpite nella pietra a 230 chilometri da Kabul. Grande, doveroso scandalo ed emozioni dispensate su tutti i media: un pezzo di memoria civile oltre che religiosa ed artistica polverizzato in un attimo. Quelle che andavano in frantumi non erano “solo” due immagini di Buddha, risalenti al III e V Secolo, o – in altri contesti – le sale del Museo di Mosul devastate, nel 2015, a colpi di mazza dai militanti dell’ISIS, le distruzioni, con gli esplosivi, della città carovaniera di Palmira, i luoghi di culto cristiano distrutti e profanati dai fondamentalisti islamici, in Siria ed Iraq, tra il 2013 ed il 2016. Quello che accadeva in Medio Oriente era, insieme ad una lunga scia di vittime civili e militari, una mostruosità culturale. Dall’altra parte, per chi compì quelle azioni, le giustificazioni non mancavano: non solo la proibizione religiosa delle immagini e la condanna dell’idolatria, quanto anche la cancellazione del passato preislamico e la presenza di altri credi religiosi, salvati dall’oblio grazie alle campagne di scavo degli odiati archeologi occidentali. Lo stesso principio – a ben guardare – viene ora riproposto, con le stesse aberranti modalità, nei confronti delle statue-simbolo che l’onda delle proteste per la morte dell’afroamericano George Floyd vorrebbe abbattere. La lista è lunga. E non c’è solo il Generale Lee ed i simboli confederati, a partire da Jefferson Davis, democratico del Mississipi, primo e unico presidente degli Stati “ribelli” del Sud dal 1861 al 1865. A Boston è toccato a Cristoforo Colombo, la cui statua è stata decapitata e verrà rimossa dall’attuale collocazione nel quartiere italoamericano. La speaker della Camera Nancy Pelosi ha chiesto la rimozione di tutte le statue dei confederati che si trovano nella sede del Congresso americano. Il tema sta evidentemente a cuore alla Pelosi che, qualche anno fa, aveva già lanciato la crociata contro i monumenti che ricordano alcuni eroi sudisti della Guerra Civile. A Londra, a Parlament Square, è stata vandalizzata la statua di Winston Churchil, accusato di razzismo, al punto da costringere le autorità ad ingabbiare il monumento in una sorta di sarcofago di legno. Perfino la statua di Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo, ha dovuto capitolare, sotto le accuse di presunta omofobia e simpatie naziste. A nulla è valsa l’improvvisata resistenza di un gruppo di pensionati determinati a opporsi alla rimozione della statua dal molo di Poole, nei cui pressi si è tenuto nel 1907 il primo campo scout del mondo. Il monumento di Baden-Powell è stato rimosso e temporaneamente collocato in un deposito per evitare la distruzione. A Milano la statua di Indro Montanelli è stata imbrattata e ha rischiato lo sfratto, perché durante la guerra d’Etiopia l’Indro nazionale aveva convissuto con una dodicenne abissina. Per fortuna (o buonsenso) il sindaco di Milano, Beppe Sala, si è subito affrettato a dire che la statua resta dov’è. L’elenco potrebbe continuare, tanto è lungo e spalmato su tutto l’orbe terracqueo. Pochi – a ben guardare – si salvano dall’occhiuto (ed occulto) talebanismo occidentale. Ma se a Mosul e dintorni la giustificazione, per quanto non condivisibile, aveva basi religiose e aspettative ultraterrene, qui, nelle strade di un Occidente, “aperto” alla tolleranza più sfrenata, la Verità iconoclasta non ha fondamento, tanto appare “dissociata” rispetto a storie e memorie diffuse, che sono patrimonio dell’Umanità. Le ragioni sono altre e ben più sottili. E la lotta al razzismo c’entra poco. In ballo c’è il tentativo di stravolgere la Storia dell’Occidente, di farla a pezzi, di colpevolizzare quanti di quella Storia sono i figli. “Bisogna toglier la memoria dal capo della gente. Per sua colpa il male cresce” – scriveva, durante gli Anni Venti, Gor’kij, il padre del realismo socialista. Prima di lui ci avevano pensato i giacobini, nel 1793, distruggendo le tombe dei re francesi ed i monumenti che li effigiavano, con la giustificazione che erano “simboli di una storia da abolire”. Sono note le profanazioni durante la Guerra civile spagnola e le fucilazioni “rituali” delle immagini sacre e delle reliquie, oltre che quelle “reali” di migliaia di sacerdoti e suore. Oggi come ieri, in gioco c’è una partita che va al di là delle singole realtà e dei contesti locali. Pensare di fare a pezzi le storie complesse dei diversi Paesi occidentali, sulla base di un moralismo becero ed incolto, significa “toglier la memoria dal capo della gente” (quello che per i talebani era la cancellazione del passato preislamico e la presenza di altri credi religiosi). A perdersi sono le ragioni profonde della Storia, che va compresa nella sua complessità, ma non può essere “abbattuta”, fuoriuscendo da essa, magari per smarrirsi in un limbo d’incertezze e strumentalizzazioni senza fine.