Articolo 1, tra compromessi e contraddizioni

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Così l’articolo 1 della Costituzione italiana, che qualcuno ha definito «la più bella del mondo», ma avrebbe dovuto aggiungere che è anche una delle più inattuate. L’articolo, oltre a sancire l’esito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, e quindi il passaggio dalla monarchia alla repubblica, definisce la struttura del nascente Stato italiano anche da un punto di vista economico. Il testo è il risultato di un lungo braccio di ferro tra le sinistre, che volevano definire la nascente Repubblica «dei lavoratori», e le altre forze politiche. Il democristiano Amintore Fanfani è l’autore della formula attuale. Nonostante ciò, l’articolo 1 è considerato ancora oggi da molti rappresentanti del mondo politico e culturale uno dei più controversi della Costituzione. La centralità del lavoro, quale fondamento dell’architettura costituzionale italiana e principio ispiratore della Repubblica, trova scarsa aderenza con la realtà di oggi, alla luce dell’invincibile disoccupazione, soprattutto giovanile, e delle pesanti conseguenze del lockdown sul mondo dell’economia e del lavoro dovute. Ma la “storia della disoccupazione” in Italia, quale piaga sociale, affonda le sue origini in una linea del tempo ancora più remota e le tante riforme del lavoro, concepite dal 1997 ad oggi, Jobs Act compreso, non si trovano in linea con il dettato costituzionale dell’articolo 1. Ma probabilmente la misura o, meglio, lo strumento più in contrasto con l’articolo 1 è oggi il Reddito di Cittadinanza, che ha slegato la Repubblica e i suoi cittadini da uno dei suoi più importanti principi costituzionali.