Riflessioni sulla prima Festa della Repubblica post-Covid: una piena cittadinanza non può prescindere dal lavoro, presupposto della nostra società

Anche la Festa del 2 giugno, quest’anno, sarà vista da tutti noi sotto una luce diversa. Non solo perché le norme sul distanziamento sociale impongono celebrazioni diverse e più rarefatte, ma anche perché la pandemia ci ha costretto a riflettere maggiormente su molte cose e soprattutto sulle basi sulle quali si fonda il vivere civile, la nostra Repubblica, appunto. Dire che si fonda sul lavoro non è vuota retorica, buona per i discorsi ufficiali. L’abbiamo constatato. Attraverso l’impegno del personale sanitario, lavoro indispensabile alla stessa vita dei nostri concittadini malati, di Covid e non solo. Attraverso l’opera di tutti quei settori che sono dovuti andare avanti nonostante i timori per il contagio perché, appunto, essenziali per le nostre attività quotidiane. La catena agroalimentare, dalla produzione alla distribuzione, i trasporti, la sicurezza, l’igiene pubblica. I servizi pubblici e privati rimasti aperti. Le industrie che non hanno potuto fermare la produzione. Ma non solo. Abbiamo anche potuto osservare che senza il lavoro di tutti gli altri, quelli rimasti chiusi in casa, le attività sospese, i lavoratori in riposo forzato, comunque la nostra Repubblica non va avanti a lungo: crescono povertà ed esclusione, diminuiscono socialità, benessere e anche, diciamolo, le entrate fiscali che mandano avanti il sistema. La Repubblica è veramente e sostanzialmente fondata sul lavoro dell’intera comunità nazionale, di tutti i settori, di tutte le categorie. Ora, ce lo auguriamo, anche i più distratti, anche i più individualisti, dovrebbero averlo compreso. Nel prossimo futuro si traggano le conseguenze: si prendano provvedimenti per i molti che rischiano di essere esclusi dal mondo del lavoro a causa della crisi che sta seguendo alla pandemia, si dia al lavoro, in tutte le sue forme, la dignità che merita. Una piena cittadinanza non può prescindere dal lavoro.