La crisi economica del 2020 è una crisi molto diversa da quella del 2008. Quest’ultima fu una crisi di sistema che dalla finanza si trasferì presto all’economia reale, quella che stiamo attraversando deriva invece da un evento imprevedibile quale è la pandemia di coronavirus. Con fatica l’Europa – e l’Italia anche con maggiore difficoltà rispetto ai suoi principali partner – stava da poco ricominciando a mostrare segnali incoraggianti dopo la spirale negativa avviata più di dieci anni fa, ma la crisi non aveva colpito tutti allo stesso modo. Stavolta le conseguenze dell’emergenza, dapprima sanitaria, avranno un impatto devastante: colpiranno tutti indistintamente. Già a marzo l’Organizzazione internazionale del lavoro (agenzia delle Nazioni Unite che riunisce i governi, i sindacati e le organizzazioni degli industriali di 187 Paesi) aveva stimato che il numero di disoccupati nel mondo avrebbe potuto raggiungere livelli di gran lunga superiori a quelli provocati dalla crisi del 2008. Quello che sappiamo è che il lockdown, misura volta a contenere la diffusione del virus adottata praticamente ovunque, in circa due mesi ha provocato più danni della precedente crisi economico-finanziaria. Una situazione che in Italia è  resa evidente dal recente crollo della produzione industriale e che registrerà nelle prossime settimane dati quasi certamente più gravi, senza dimenticare che il nostro Paese già di suo era atteso crescere quest’anno di pochi decimali sopra lo zero. In Italia il tasso di disoccupazione salì dal 6,7% del 2008 al 12,7% nel 2014, per assestarsi attorno all’11,2% nel 2017 fino a scendere al 9,7-9,8% tra fine 2019 e inizio 2020. La ripresa occupazionale è iniziata nel 2015, tuttavia compromessa – complice soprattutto il Jobs Act – da un contesto se possibile più precario di quello che ci eravamo lasciati alle spalle. Per quanto sia difficile, ora, fare previsioni sugli effetti che la pandemia avrà sull’occupazione nei prossimi mesi (secondo l’Istat a marzo il tasso di disoccupazione è sceso all’8,4% ma con un boom di inattivi da considerare, dati inoltre condizionati dall’avvio della cassa integrazione per far fronte all’emergenza), è possibile immaginare un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro – non eravamo ancora riusciti a colmare la perdita delle ore lavorate accumulata negli anni passati – che potrà essere limitato solo attraverso politiche lungimiranti. Purtroppo, fin qui, tutt’altro che messe in mostra.