di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Si profila all’orizzonte una stagione di lotta per la salvaguardia dell’acciaio italiano e per il mantenimento dell’occupazione nel settore. Non solo Ilva, ma anche Terni, Piombino, Servola, Portovesme. Le proprietà, i franco indiani di ArcelorMittal, come i tedeschi della Thyssen Krupp, ma anche Arvedi e Jindal non danno a vedere di avere intenzioni serie per il rilancio del settore, tutt’altro. Sembrano piuttosto voler utilizzare l’emergenza Covid-19 per portare a compimento progetti di ridimensionamento e smobilitazione ideati ben prima della pandemia e della crisi. L’Italia tutta rischia molto, non solo i nostri metalmeccanici, ma l’intera economia e l’occupazione nazionale, che non possono permettersi uno smantellamento della siderurgia italiana. Abbiamo avuto modo di vedere, in piena emergenza coronavirus, cosa significhi aver abbandonato alcune produzioni essenziali, quelle legate alla sanità, ma lo stesso ragionamento può facilmente essere replicato per l’acciaio. Ora siamo di fronte a qualcosa in più, non a semplici congetture. ArcelorMittal ha ampiamente usufruito della cassa integrazione e la multinazionale, mai davvero sciolto il nodo sul futuro dell’ex Ilva, sembra intenzionata a una fuga dall’Italia. Lo testimonia il sostanziale abbandono dei siti, in termini di investimenti e manutenzione, di rapporti con indotto, appalti, trasporti. Lo ha constatato pochi giorni orsono anche il ministro Patuanelli: “Mittal sta facendo capire che non ha nessuna intenzione di restare”. ThyssenKrupp non è da meno: Martina Merz, l’amministratore delegato, ha parlato della necessità di un “percorso di riorganizzazione interna” a seguito delle sfide imposte dal Covid-19, il che, in soldoni, significa ridimensionamenti e tagli. Fra i siti nel mirino, passibili di cessioni in toto o parziali, non ci sono certo gli impianti tedeschi. Ci potrebbe essere, invece, nonostante blande rassicurazioni, quello di Terni, con i suoi 2.350 lavoratori diretti più i mille dell’indotto, il cui destino preoccupa, nonostante la competitività dell’impianto, perché una cessione sarebbe ancor più difficile e dannosa in un contesto di recessione mondiale come quello in atto. Ci auguriamo che l’Esecutivo si muova rapidamente, incontrando le parti sociali, ascoltando le preoccupazioni del sindacato e assumendo un atteggiamento deciso. Se il premier Conte, dopo lo scampato pericolo della sfiducia a Bonafede, che comunque ha lasciato profondi strascichi nella maggioranza, come ha dichiarato, intende dar vita ad una nuova fase di dialogo sia con le parti politiche che con quelle sociali per la gestione dell’emergenza economica, dovrebbe inaugurare questo nuovo corso anche sul tema essenziale dell’acciaio, mettendo in atto ogni possibile strumento al fine di garantire produzione e occupazione. La situazione è seria e il sindacato è in allerta.