Hai voglia a dire, come oggi il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, sulla stessa linea del premier Giuseppe Conte («un buon inizio»), che «i leader di Francia e Germania si posizionano sulla proposta che l’Italia ha lanciato». Punto primo, i leader di Germania e Francia si sono incontrati e accordati tra di loro. Punto secondo, l’Italia e tutto il fronte dei Paesi Sud Ue avevano in mente ben altra entità di risorse: almeno 1000 miliardi di euro. Facciamo un passo indietro: 500 miliardi per rilanciare l’economia dell’Europa è la proposta messa ieri nero su bianco da Germania e Francia per combattere la crisi economica da coronavirus. Miliardi da distribuire agli Stati più colpiti dalla crisi (all’Italia 100 miliardi) a fondo perduto attraverso l’emissione di bond comunitari, che dovranno essere rimborsati da tutti i 27 Stati membri a scadenza. Francia e Germania sono sempre state fino – apparentemente – su fronti opposti in merito, lanciando ieri la loro proposta comune alla Commissione Ue, anticipando così la presidente Ursula von der Leyen che dovrebbe presentare la sua proposta la prossima settimana, e ritrovando unità hanno fatto molto di più che aiutare l’Ue a costruire un consenso intorno al Recovery Fund: hanno riaffermato la loro leadership. Se, come sostengono le anime belle, i Paesi del Nord hanno perso un bella quota del loro peso specifico, la Germania, anche i Paesi del Sud Europa hanno perso altrettanto, la Francia, con la differenza che, rispetto ai “falchi”, le “colombe” sono decisamente più deboli. L’Italia, o meglio Giuseppe Conte, ha perso il suo carico da 90, la Francia, che conferiva spessore alla sua voce. Anche se il documento franco-tedesco intende essere un compromesso tra la posizione dei Paesi dell’Europa meridionale, con Francia e Italia (teoricamente) in testa, e quella dei nordici più rigorosi dal punto di vista fiscale, di cui la Germania è capofila, gli ostacoli sul cammino del Recovery Fund restano notevoli. Secondo Vienna, ma anche secondo i “nordici”, il sostegno dell’Ue deve concretizzarsi in «prestiti, non aiuti» e di conseguenza in debiti per chi li richiedesse, fatto che peggiorerebbe ulteriormente i bilanci di Stati, come il nostro, già caratterizzati da alti livelli di debito pubblico.