Dl “Maggio”: Palazzo Chigi sempre più solo e in cerca di consenso

Mentre a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, concertava in videoconferenza ieri sera con i sindacati e di nuovo oggi con le imprese sulle misure economiche che andranno nel decreto “Aprile” diventato “Maggio” – da varare, si dice, entro la settimana – allargando il dialogo a tutte le sigle, nel frattempo la maggioranza litigava su diversi fronti, compresi quelli oggetto del provvedimento stesso, con una dote da 55 miliardi di euro, ma non solo. La discordia è ormai talmente evidente che le possibilità di una fine del Governo Conte bis dopo la Fase 2 si fanno sempre più reali sotto le spinte, ma sarebbe meglio definirle cannonate, dell’insidiosissimo leader di Italia Viva, Matteo Renzi, e l’instabile appoggio del M5s. Ben sapendo però che l’orientamento del Colle in caso di caduta del Conte bis – presumibilmente in estate – è di sciogliere le Camere e andare ad elezioni, non di procedere ad nuovo esperimento governativo in laboratorio. Non c’è solo il “caso Bonafede”: sulla regolarizzazione di ben 600 mila lavoratori in nero, tra braccianti, colf e badanti, il ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, oggi ha minacciato le proprie dimissione di fronte all’ondeggiamento del M5s, tra il far finta di nulla e il dichiararsi apertamente contrario, e al mancato ingresso della super sanatoria nel dl Maggio. Già così l’instabilità di Conte sarebbe evidente, ma c’è di più: criticate nel merito e nel metodo sia da Italia Viva sia dal Pd altre misure economiche e loro tempi/modalità di attuazione, intorno alle quali ieri Conte si è confrontato con i sindacati, dalla Cgil all’Ugl, e oggi con le imprese, con Confindustria alquanto critica. Gualtieri, pur sulla carta ministro di peso, sta sullo sfondo. Oggi il segretario di via del Nazzareno, Nicola Zingaretti, è stato chiaro: «I ritardi nell’attuazione e concretizzazione dei provvedimenti già presi sono insopportabili e minano la credibilità dello Stato perché cresce tra le persone la percezione di solitudine». Dunque attenzione a non fare lo stesso errore con il prossimo, che però è già slittato di un mese e si dubita possa essere varato entro la settimana alla luce delle tante discordie. C’è infatti disaccordo sul Reddito di emergenza, sulla volontà del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, di ridurre l’orario di lavoro a parità di retribuzione, sull’ingresso dello Stato nel capitale delle società. L’impressione è che Conte abbia voluto ampliare gli interlocutori nella trattativa più per cercare consenso che per amore per il pluralismo. Avrebbe dovuto pensarci prima, molto prima.