L’Italia uscirà dall’emergenza legata alla pandemia di coronavirus economicamente devastata. Le misure restrittive per contenere i contagi hanno fatto sì che molto imprese – di piccole, medie e grandi dimensioni – siano state costrette ad abbassare le saracinesche temporaneamente, fermando l’attività e lasciando a casa milioni di lavoratori. Il problema però è che molte imprese, per far fronte anche ai costi e ai mancati guadagni legati al lockdown, quando non si sono limitate alla cassa integrazione, sono ricorse ai licenziamenti, senza contare che le difficoltà della ripartenza – una volta che l’emergenza sarà scampata –  potrebbero comportare la perdita di altri posti di lavoro. Secondo le stime di Unioncamere, per esempio, a fine anno nei settori dell’industria e dei servizi si potrebbero contare quasi mezzo milione di occupati in meno (con il turismo ad avere la peggio), mentre Confindustria prevede una diminuzione dell’occupazione totale (ULA – unità di lavoro annue) del 2,5%, contro il +0,3% registrato nel 2019. Stime che, precisano entrambe le associazioni di categoria, prendono in considerazione uno scenario intermedio, che prevede quindi una riapertura delle attività entro il mese appena iniziato. Già l’Istat nel mese di marzo ha registrato una flessione dell’occupazione di 27mila unità rispetto al mese precedente e di 121mila unità rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Marcato anche l’aumento degli attivi: +301mila unità su base mensile e +581mila su base annua. Intanto, sempre Unioncamere evidenzia il peggior saldo nati-mortalità delle imprese degli ultimi sette anni per il primo trimestre del 2020: -30mila contro le -21mila dello scorso anno. Ad oggi, secondo un sondaggio Confesercenti-SWG, il 32% delle piccole e medie imprese attive nei settori del commercio e del turismo ritiene che il lockdown, potrebbe averle messe a rischio di chiudere definitivamente. Quasi una ogni tre quindi, alle quali si aggiunge un ulteriore 35% che teme di chiudere se l’emergenza dovesse protrarsi ancora.