Se a frenare la “Cura” e la ripresa ci si mettono anche gli istituti di credito

Hai voglia a dire che l’Italia deve ripartire. Sulla tempistica sbagliata ovvero lenta e sull’incongruenza e inconsistenza dei decreti del Governo abbiamo più volte scritto, ma c’è un altro nodo, che sarebbe meglio chiamare tappo, ad impedire all’Italia di iniziare a ripartire o, in fin troppi casi, a sopravvivere. Ben pochi tra i lavoratori “beneficiari” della cig in deroga e tra i professionisti e le imprese sono riusciti ad ottenere dalle banche ciò che il Governo ha stanziato per tamponare gli effetti del lock down. Le banche non si sono dimostrate pronte a erogare gli anticipi Cig per conto dell’Inps per ragioni procedurali (e, aggiungiamo, perché l’esecutivo non ha previsto alcuna garanzia a tutela delle anticipazioni), tali da far slittare a maggio, se non addirittura a giugno in alcuni casi, l’erogazione della cassa integrazione, secondo le previsioni dei Consulenti del Lavoro. Nonostante l’accordo Abi-parti sociali fosse mirato proprio ad accorciare i tempi, mancano negli Istituti di Credito strumenti organizzativi e di gestione del personale. Un altro problema è che le banche non hanno a disposizione, come ha invece l’Inps, gli archivi digitali dei lavoratori e delle aziende. Ma l’Abi, attraverso una circolare, avrebbe dato indicazioni ai propri associati per facilitare il processo di erogazione dell’anticipo della cassa integrazione. Evidentemente c’è da fare di più, tant’è che non se la passano meglio professionisti e imprese: alcuni istituti di credito hanno dichiarato apertamente problemi nell’accogliere le domande per i finanziamenti previsti dal decreto liquidità, circostanza che è stata oggetto di un’odierna audizione parlamentare presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Al di là delle supposizioni vaghe e kafkiane sulle ragioni di tali problemi – «una patologia individuale di qualche direttore» o «strategia» – c’è da chiedersi perché non sia sufficiente a sbrogliare la matassa la garanzia dello Stato. Forse la risposta è nelle orgogliose parole del direttore generale dell’Abi, Gianni Sabatini, ovvero nella «pregnante e rigorosa normativa di fonte primaria, secondaria e di vigilanza, al cui rispetto sono tenuti gli intermediari in sede di concessione e per tutta la durata dei finanziamenti». È vero che in pochi giorni le domande per il finanziamento da 25 mila euro sono passate da 5000 a 30 mila ma anche che, come denunciato dalla presidente dalla stessa Commissione parlamentare d’inchiesta, Carla Ruocco, a chiedere il finanziamento da 25mila euro pensato per le microimprese siano state imprese con «fatturato piuttosto alto». Insomma, l’ingorgo è servito e andrà a finire che il motivo per il quale l’Italia non riesce a crescere potrebbe essere lo stesso per il quale rischia di non riuscire a ripartire.