La pandemia travolge il Calcio, impegnato a difendere solo i propri interessi. Nessuno parla dei 220 mila addetti dello sport abbandonati al loro destino

Il Covid-19 sta facendo saltare molti altarini e tra questi uno dei più “sacri” che l’Italia, e non solo, riconosca è il calcio. Sotto schok per la pandemia e per più di un mese di lockdown, il tifosissimo popolo italiano non ha ancora palesemente reagito di fronte alle notizie sconcertanti provenienti da un mondo che è sempre stato sia un’efficace valvola di sfogo sia un collante sociale. Mai come in questa crisi il calcio o, meglio, le Società, i giocatori e i tifosi sembrano essere così distanti. I problemi più scottanti del momento sono il campionato fermo, non certo per propria volontà o assunzione di responsabilità, e il taglio degli stipendi dei calciatori di serie A. A nessuno interessa il destino che potrebbe attendere i 220 mila lavoratori dell’intero movimento sportivo, abbandonati a loro stessi anche dal ministro Spadafora. In Italia è stato poco edificante il braccio di ferro tra Lega A e Aic (Associazione Italiana Calciatori) sul taglio degli “stipendi” dei campioni, mentre intorno gli ospedali straripavano di contagiati, mentre i morti aumentavano di giorno in giorno, mentre medici e infermieri si ammalavano curando, mentre fabbriche e uffici chiudevano i battenti, mentre le file interminabili davanti ai supermercati e le strade vuote delle città davano il senso plastico della catastrofe in atto. I calciatori non ne vogliono sapere di accettare tagli orizzontali al loro ingaggio, preferiscono trattative singole. A loro volta le Società non intenderebbero utilizzare quegli eventuali risparmi per evitare un’ecatombe dei propri dipendenti o magari per donare risorse al Sistema sanitario in prima linea, rispondendo con atti concreti a quell’attaccamento sempre ricevuto dai tifosi, che poi dovrebbero essere la ragione di esistere del calcio. Ciò che alle Società interessa è rimpolpare i bilanci a rischio e far ripartire in un modo o in un altro il Campionato, pur di rimettere in moto la macchina, che sui diritti televisivi, sulla pubblicità, sul gioco delle plusvalenze e delle minusvalenze fittizie hanno costruito la loro, evidentemente fragile e spericolata, fortuna finanziaria. Oggi il noto giornalista sportivo Mario Sconcerti sul Corriere della Sera non la manda a dire e scrive: «Il vero problema del calcio sono i suoi debiti… È scoppiata la bolla, bisogna ricucire, tappare, pensare e agire in modo diverso. Il taglio degli stipendi è la cima dell’iceberg. Da solo non risolve niente se non la combinazione di un bilancio». Invita i tifosi a smettere di chiedere «i sogni che abbiamo sempre chiesto». Piuttosto bisognerebbe chiedersi se dopo il Covid19 e il lockdown gli italiani si ricorderanno oppure no del comportamento alquanto indifferente ai loro problemi dimostrato fino ad oggi da Società e giocatori, salvo qualche piccola eccezione.