Questa mattina l’Istat – allegandola alla Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana – ha diffuso una prima analisi degli effetti del COVID-19 sull’attività economica del Paese, tenendo in considerazione che ad oggi sono sospese le attività di 2,2 milioni di imprese (il 49% del totale) e l’occupazione di 7,4 milioni di addetti (44,3% del totale) e considerando due scenari: il primo che prevede il lockdown per i soli mesi di marzo e aprile, il secondo che prevede invece un’estensione delle misure restrittive fino alla fine del secondo trimestre, quindi a giugno. Se il lockdown finisse ad aprile, a fine anno si registrerebbe una contrazione dei consumi finali di 4,1 punti percentuali, con un riduzione del valore aggiunto generato generato dal sistema produttivo italiano dell1,9% ( di cui un -1,5% legato direttamente agli shock settoriali, e un -0,4% agli effetti indiretti). «Il maggiore contributo alla caduta del valore aggiunto complessivo – si legge nel report dell’Istituto – proverrebbe dalla contrazione delle spese per altri servizi -al netto delle spese turistiche- (-0,9%), mentre il contributo della riduzione delle spese per beni e di spese turistiche sarebbe rispettivamente di -0,7 e -0,4 punti». A livello occupazionale si registrerebbe una diminuzione di 385 mila lavoratori (di cui 46 mila non regolari). A subire le riduzioni più marcate sarebbero i comparti dell’alloggio e ristorazione (-11,3%) e del commercio, trasporti e logistica (-2,7%). Sarebbero invece di entità minore gli effetti che si produrrebbero sui settori che producono beni d’investimento e sulle costruzioni, co diminuzioni inferiori al punto percentuale. Per quanto riguarda invece il secondo scenario, ovvero con un’estensione del lockdown fino a giugno, l’Istituto nazionale di statistica prevede una diminuzione dei consumi finali del 9,9% a fine anno, con una contrazione complessiva del valore aggiunto pari al 4,5% (si cui 3,4 punti per gli effetti diretti e 1,1 per quelli indiretti. In questo caso gli occupati coinvolti sarebbero quasi 900 mila, dei quali 103 mila non regolari. «Anche in questo caso, le contrazioni più marcate del valore aggiunto – spiega l’Istat – si riferirebbero alle attività di alloggio e ristorazione (-23,9%) e commercio, trasporti e logistica (-6,9%)», ma si registrerebbero ripercussioni più marcate anche per i beni di consumo, servizi alla persona e servizi personali.