Ex Ilva e Covid-19, come far convivere salute e economia

Cosa viene prima, la salute o l’economia? È il dilemma di questi giorni, anzi settimane. Non può che essere serio l’allarme lanciato oggi dal presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, in un’intervista al Foglio, sui settori dell’acciaio e dell’automotive. Se «l’Italia resta fuori da queste filiere ne è esclusa per sempre. E se l’Italia non riesce a darsi un metodo per riaprire al più presto le stime che leggo in questi giorni, quelle che vorrebbero una decrescita nel 2020 di dieci punti di Pil, penso siano ottimistiche». Va citato anche il presidente di Federacciai Alessandro Banzato, che, il 1° aprile, dalle pagine del Secolo XIX, ha evidenziato come l’attuale blocco del settore metta a rischio di sostituzione i fornitori italiani della filiera siderurgica europea. Il lock down, infatti, non si articola in modo uniforme in Europa. Ne sanno qualcosa anche i produttori della ceramica. Bonomi chiede un metodo per ripartire – e quello per lo stop è stato piuttosto discutibile – ma punta anche l’indice verso un «forte e radicale pregiudizio anti industriale». Quello che, però, sta accadendo a Taranto e in particolare all’ex Ilva, visto che di acciaio stiamo parlando, come in altre realtà industriali ora ferme, non dipende da un sentimento antindustriale, ma da ragioni di salute e sicurezza. Nonostante il Prefetto di Taranto abbia predisposto controlli all’interno dello stabilimento Arcelor Mittal per garantire il rispetto delle norme individuate per contrastare il coronavirus, continuano ad arrivargli segnalazioni dai sindacati, dalla Cgil alla Ugl, su un mancato rispetto delle stesse. Assenti anche indicazioni tecniche chiare su quante debbano essere le persone necessarie a far funzionare l’impianto “a regime ridotto”. C’è da considerare poi la richiesta dei sindaci del tarantino che vogliono la chiusura dello stabilimento, «a seguito dell’avvenuto accertamento di un caso di positività che ha riguardato un dipendente dello stabilimento Arcelor Mittal di Taranto, considerata l’alta densità di lavoratori dell’intera Provincia di Taranto sia tra i dipendenti diretti che indiretti». Sono dilemmi che dovrebbero essere affrontati dal Governo sia con gli esperti in materia sanitaria sia con tutte le parti sociali, affinché il ritorno alla “normalità”, la cosiddetta Fase 2, che si preannuncia lunga e lenta, non si trasformi né in un’ondata di epidemia di ritorno ma neanche in un’irreversibile desertificazione industriale.