di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Come cambieranno i rapporti internazionali dopo il coronavirus? Siamo ancora nel pieno dell’emergenza e i dati forniti ogni pomeriggio dalla Protezione Civile lo testimoniano. Secondo gli esperti dovremmo essere però arrivati all’atteso e temuto “picco”, anche se attualmente si parla di “plateau”, lasciando così intendere che il numero altissimo di vittime registrate giornalmente sarà stabile ancora per qualche settimana e ci vorrà tempo per vederlo finalmente calare, mentre starebbe diminuendo quello dei nuovi contagiati. Con prudenza e ancora mantenendo le drastiche misure di distanziamento sociale, quindi, si può iniziare a parlare del “dopo”, della ripartenza. Ci si chiede come sarà l’Italia dopo la pandemia, come cambieremo dal punto di vista sociale, economico e politico. A livello nazionale ci confronta sulle misure economiche necessarie alla ripresa e sui tempi delle riaperture. Ma occorre anche chiedersi cosa accadrà a livello internazionale, dato che, anche la pandemia di Coronavirus lo dimostra, il mondo contemporaneo è strettamente interconnesso, nel bene e anche nel male. Il primo pensiero va all’Ue: in questi giorni si sta consumando uno scontro fra due visioni opposte ed una dovrà infine prevalere sull’altra, speriamo quella solidarista e non quella ottusamente rigorista, altrimenti il Covid-19 fra le sue conseguenze avrà quella della fine del progetto europeo. Ma, alzando lo sguardo oltre i confini dell’Europa, la fine dell’emergenza dovrebbe essere l’occasione per una messa in discussione, globale, di alcuni dei dogmi della globalizzazione liberista, rivelatisi platealmente errati. Il dogma della “mano invisibile” del mercato, secondo cui basterebbe lasciar esprimere l’insieme degli interessi egoistici privati per garantire le migliori condizioni di vita all’intera società. Non è così. Non per tutti i settori, almeno: ora immaginiamo sia chiaro a tutti il ruolo essenziale dello Stato sociale, a garantire l’universalità dei servizi fondamentali. La sanità, nell’occhio del ciclone, ma anche gli altri. Se ne stanno convincendo anche stati tradizionalmente molto più liberisti del nostro. Il dogma delle specializzazioni produttive, senza salvaguardie nazionali. Cedere interi settori ad altri Paesi, ad altri continenti, per un’unica ragione, il dumping salariale, significa, fra le altre cose, mettersi in condizioni di ricattabilità. Non solo creare squilibri sociali e occupazionali, ma anche rinunciare alla propria indipendenza. Il dogma dell’apertura incontrollata delle frontiere, mentre, e la crisi lo ha dimostrato, sono le mura della nostra casa comune, servono a proteggerci, a controllare che chi entra non metta in pericolo, per una ragione o per l’altra, coloro che la abitano e averlo capito prima ci avrebbe forse risparmiato migliaia di lutti. Speriamo che questa dura lezione porti a un reale cambiamento.