L’Unione rischia di deflagrare. Toccanti le parole di Ursula von der Leyen ma non bastano

Non si può dire che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, non sappia usare le parole: «Una volta passata la pandemia di Covid-19, gli europei si ricorderanno di chi c’è stato per loro e di chi non c’è stato. Si ricorderanno di chi ha agito e di quelli che non lo hanno fatto. Si ricorderanno delle decisioni che prenderemo oggi. E di quelle che non prenderemo». Questo il monito che precede uno degli eventi più cruciali della giornata di oggi: i capi di Stato e di governo dell’Ue si riuniscono in videoconferenza per cercare un accordo su ulteriori misure rivolte a combattere una crisi senza precedenti, generata dal coronavirus e dal relativo blocco, o rallentamento, delle attività produttive. Von de Leyen ha invocato l’unità dei leader Ue e pronunciato parole come «amore» e «compassione», ma francamente poco credibili perché il punto sul quale i leader europei si dividono è noto. Tra il fronte, ufficializzato ieri dal nostro presidente del Consiglio durante il suo intervento alla Camera, composto da Italia, Belgio, Francia, Spagna, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Slovenia, che ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sollecitando la creazione di uno «strumento di debito comune emesso da un’istituzione dell’Ue». Ovvero il Coronabond o, come ha preferito chiamarlo oggi Conte intervenendo al Senato, «European Recovery Bond». Dall’altra, i Paesi del Nord, con Olanda e Germania in testa, che non se la sentono proprio di accollarsi i debiti dei Paesi del Sud in caso di loro futura insolvenza, nonostante la (timida) apertura allo strumento da parte della presidente della Bce, Christine Lagard. Sul piatto le possibilità di discussione per i “nordici” ruoterebbero solo intorno alle condizioni (Eccl) per accedere al Mes, due le soluzioni, una più intransigente e una, illustrata anche dal presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni e dal direttore del Mes Klaus Regling. Le linee di credito, circa il 2% del Pil del Paese richiedente (36 mld per l’Italia), sarebbero a disposizione di tutti gli Stati, la scelta di richiederle e attivarle spetta a ciascun Paese con il conseguente rischio di finire nel discredito sui mercati. Secondo Centeno le condizionalità non sono esose nel breve termine, perché giustificate dalla necessità di rispondere all’epidemia di Covid-19. Ma se nel lungo termine gli Stati membri dovessero «concentrarsi sull’assicurare un percorso sostenibile» di finanza pubblica, allora ecco riapparire lo spettro della Grecia e della mortale cura dimagrante a cui è stata sottoposta dalla troika. Insomma, più che incandescente il materiale che i leader Ue si troveranno a maneggiare oggi sembra essere radioattivo, nel senso che davvero l’Ue, Unione già molto fragile come si comprende dalla inconciliabilità delle posizioni sul tavolo, rischia di deflagrare.