Non siamo ai corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico, ma di certo un parallelismo fra gli anni ’40 ed oggi è possibile, anche sul versante della storia del movimento sindacale. La Seconda guerra mondiale aveva lasciato soltanto macerie, fisiche, sociali, economiche, morali. Dopo il Patto di Roma del 1944, nella Cgil unitaria convivevano tre anime – quella marxista massimalista, l’altra di ispirazione cattolica e popolare, la terza laica e riformista – che un paio d’anni dopo sarebbero diventate quattro, con l’ingresso della componente che si richiamava al sindacalismo rivoluzionario e nazionale. I quattro anni che seguirono sono illuminanti, pure per capire l’oggi. La componente massimalista, guidata da Giuseppe Di Vittorio, che pure aveva avuto un trascorso vicino alle posizioni del sindacalismo rivoluzionario, prova ad egemonizzare il movimento sindacale, proprio mentre il Partito comunista italiano viene escluso da quello che fino a quel momento era stato il governo unitario, le elezioni politiche del 1948 sanciscono la definitiva rottura, acuita dal successivo attentato a Palmiro Togliatti e dalla presentazione del Piano Marshall, con la componente popolare che vola a Londra per sostenere questa iniziativa. Fra marzo e aprile del 1950, nascono la Uil, la Cisnal ed infine la Cisl, con la Cgil che finisce per rappresentare soltanto la componente social-comunista. Succedeva settanta anni fa.