Anche prima dell’emergenza coronavirus, non è che l’Italia se la passasse proprio bene, soprattutto se andiamo a guardare all’universo femminile

Nei giorni scorsi, l’Istat ha comunicato ad un Parlamento che opera a mezzo servizio (nelle prossime settimane, sono previste soltanto le sedute d’aula del mercoledì, mentre le commissioni saranno convocate esclusivamente per i provvedimenti urgenti e indifferibili) l’andamento degli indicatori Bes. Si tratta di uno strumento che dovrebbe andare oltre alla semplice analisi dell’andamento del prodotto interno lordo, in quanto tiene conto di tanti altri fattori che investono il benessere delle persone. Guardando al lavoro, nonostante un piccolo miglioramento rispetto agli ultimi dati forniti, rimane molto alto il tasso di mancata partecipazione al lavoro, poco al di sotto del 20%, ma molto vicino al 24% per le donne. A parziale consolazione, si può osservare come il dato sia in calo da cinque anni. Nel frattempo, però, sempre l’Istat segnala anche un altro aspetto su cui riflettere alla vigilia della ricorrenza dell’8 marzo: la donne con figli in età pre-scolare lavorano di meno rispetto a quelle senza carichi familiari, peraltro, con una tendenza al peggioramento.

Una crisi al femminile:  effetti dell’emergenza

Il giorno che, finalmente, l’Italia riuscirà a mettersi alle spalle l’emergenza coronavirus bisognerà fare i conti con gli effetti della crisi sul lavoro femminile. Un elemento che ancora non è emerso in tutta la sua evidenza, infatti, è che i settori maggiormente colpiti sono spesso proprio quelli dove è più alta la partecipazione delle donne, dal turismo al commercio, passando per l’agricoltura e le attività ad esse connesse, anche senza tener conto della scuola e della sanità, con questo secondo comparto che, peraltro, sta anche pagando un duro pegno di termini di contagiati.