Dai ricatti della Turchia al Coronavirus, l’Ue è sempre più debole, anzi assente

L’Ue esiste? Il campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo in Grecia, la “Lampedusa greca”, era già considerato un inferno, ma può ancora peggiorare dopo che il governo turco, sabato scorso, ha aperto i propri confini ai (milioni) di migranti presenti nei suoi campi profughi. Un’ondata che secondo l’ONU è pari a circa 13mila persone, ma che, secondo il ministro dell’Interno turco, è pari a più di 100mila persone intenzionate a chiedere asilo all’Europa. Tutto ciò, mentre in Italia un ex ministro dell’Interno e ex vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, viene mandato a processo per sequestro di persona per aver bloccato delle navi con a bordo diverse centinaia di immigrati clandestini allo scopo di costringere l’Ue a modificare le norme europee sul diritto di asilo. La Turchia, dopo aver ricevuto miliardi di euro dall’Ue dal 2016 in poi solo per disinnescare la bomba sociale rappresentata dai 3,6 milioni di profughi siriani, afghani e iracheni, sta ricattando l’Europa. Chiede altri 3 miliardi di euro per gestire i profughi e anche una presa di posizione, fatto ancora più difficile da ottenere, sull’inasprimento del conflitto nella provincia di Idlib, nel nord-ovest della Siria, dove nel corso di un raid aereo, giovedì notte, sono rimasti uccisi 34 soldati turchi. Nel frattempo, la Grecia, come la Bulgaria, si sta difendendo da sola con lo schieramento di militari, respingendo i migranti con gas lacrimogeni, sospendendo la presentazione di domande di asilo per tutto il mese mentre, dopo le rivolte dei migranti, adesso deve fronteggiare quelle della sua popolazione che sia sulle isole, dove gli sbarchi sono incessanti e soprattutto a Lesbo, sia sulla terra è esasperata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha promesso rinforzi dalla Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, mentre martedì visiterà il confine con la Turchia insieme al presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, e al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. La parola d’ordine è sempre «proteggere i confini europei», ma guai a toccare il diritto di asilo. Stessa ritardataria e debole risposta, con i buoi già scappati dai recinti, la sta dando in merito all’emergenza Coronavirus: solo dopo che il virus si è manifestato anche in Germania, Francia e altri paesi europei, le istituzioni Ue si sono decise ad affrontarla nella dimensione comunitaria sia in termini sanitari sia in quelli economici-finanziari, con riunioni d’urgenza dei ministri finanziari dell’Eurogruppo/Ecofin convocati mercoledì in teleconferenza e quelli della Salute convocati venerdì a Bruxelles. Mentre con la Gran Bretagna l’Ue è di nuovo vicina a un punto di rottura, con Boris Johnson pronto ad abbandonare il negoziato in mancanza di prospettive di accordo condiviso.