Tra “Sindaco d’Italia” e presidenzialismo

di Mario Bozzi Sentieri

Secondo la Noto Sondaggi più della metà degli italiani è favorevole all’elezione diretta del capo del governo.  La rilevazione è stata fatta sull’onda della proposta di riforma costituzionale lanciata da Matteo Renzi. Quella di Renzi sul Sindaco d’Italia è un po’ la scoperta dell’acqua calda. Nel senso che l’idea, nella quale si riconosce la maggioranza del popolo italiano, non è proprio una novità, ma  appartiene, da sempre, al riformismo costituzionale di destra (Carlo Costamagna parlava di Repubblica presidenziale già nell’ottobre 1946, su “Rivolta Ideale”) ben rappresentato, oggi,  da Fratelli d’Italia, che, non a caso, nell’ultimo fine settimana, ha lanciato la sua  campagna di raccolta firme a favore di quattro proposte di legge di iniziativa popolare, tra cui appunto quella per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Sul fronte dei contenuti non c’è partita: la riforma istituzionale è una necessità e gli italiani ne sono ben consapevoli. Più complessa la questione “di metodo”. L’annuncio, oggettivamente strumentale, di Renzi sul Sindaco d’Italia può aprire la stagione delle riforme? Ci sono le condizioni per un fronte politico trasversale che si faccia carico della volontà riformatrice? E può bastare una proposta di legge d’iniziativa popolare, da portare all’attenzione del Parlamento, per sbloccare finalmente gli arrugginiti ingranaggi istituzionali del nostro Paese? Nel passato ci aveva provato, sul finire degli Anni Settanta, Bettino Craxi, con l’idea della Grande Riforma. Prima di Craxi, Randolfo Pacciardi, mitica figura dell’antifascismo repubblicano, aveva dato vita, nel 1963, al movimento Unione Democratica per la Nuova Repubblica, fortemente caratterizzato in senso presidenzialista. Nel 1968 era toccato a  Bartolo Ciccardini, con il suo gruppo, di “gollisti democristiani”, Europa Settanta. Giorgio Almirante della “Nuova Repubblica” aveva fatto la bandiera della destra degli Anni Ottanta. Il professor Gianfranco Miglio, nel 1983, aveva riunito una serie di esperti di diritto costituzionale e amministrativo, arrivando a produrre un organico progetto di riforma della seconda parte della Costituzione. Di premierato aveva parlato, nel 2005, anche Silvio Berlusconi. Nessuno però è riuscito a passare dalla fase della proposta a quella dell’effettiva iniziativa riformatrice. Anche oggi gli scenari non sembrano molto diversi. Come ha sottolineato Giovanni Orsina, politologo e direttore della School of Government alla Luiss, in un’intervista a Il Giornale, a mancare sono proprio i partiti che “hanno perso la loro forza e non si possono rianimare con lezioni di ingegneria costituzionale: le riforme, quelle vere, rimangono al palo perché manca il tempo per portarle a compimento e perché nessuno ha la forza per imporle”. Stigmatizza sempre Orsina: “Il sistema deve essere riformato per la sua debolezza, ma è troppo debole per riformarsi”. Che fare allora? Fermarsi, come nel passato, alle buone intenzioni o provare ad andare oltre? Il già ricordato Costamagna, settantacinque anni fa, poneva l’accento su un fatto, solo in apparenza scontato: “promuovere l’interesse del Popolo all’opera del proprio ordinamento costituzionale parrebbe il compito più degno del costume di una ‘vera’ democrazia”. Da dove partire allora per ridare dignità ai costumi democratici e voce a quel popolo che – sondaggi alla mano – vuole l’elezione diretta del presidente della Repubblica? Non ci sono risposte facili.  Ma perché non pensare a un’ipotesi di lavoro, tanto trasversale quanto provocatoria, come l’elezione/convocazione di un’Assemblea Costituente? La proposta di un’Assemblea Costituente appare la strada più immediata, in grado di rispondere alle evidenti questioni di metodo e di contenuto: un’Assemblea eletta con il sistema proporzionale, frutto di un chiaro confronto programmatico, e con un mandato temporale ben definito (sei mesi), che possa elaborare un progetto di riforma organico e condiviso. Alle diverse forze in campo di fare le loro proposte e di verificarle con l’opinione pubblica. Ciò renderebbe finalmente palesi i diversi orientamenti, obbligando i rispettivi schieramenti a scoprire le carte sui grandi temi “sensibili” del presidenzialismo, del sistema elettorale, del bicameralismo, del rapporto tra i poteri dello Stato, del vincolo di mandato, del decentramento amministrativo, con il conseguente coinvolgimento dei cittadini-elettori, resi finalmente partecipi di un essenziale passaggio politico-istituzionale per la vita del Paese. L’elezione/convocazione di un’Assemblea Costituente non è, tra l’altro, in contrasto con eventuali elezioni politiche generali. Può anzi precederle, rimarcando, in modo chiaro, l’idea della riforma costituzionale, ma tenendola ben distinta da un confronto sui programmi, sull’azione di governo, sui grandi temi dell’emergenza economica e sociale. Importante è uscire fuori dalle dichiarazioni ad effetto. Il tema della rappresentanza e delle competenze è un tema troppo serio per ridurlo ad un  tweet, lanciato, come un trik e trak, per fare un po’ di rumore ed attirare l’attenzione, ma niente di più.