Il rapporto Tecnè pubblicato oggi e intitolato “L’Italia del lavoro povero” è uno schiaffo in piena faccia: la stima per il 2018 colloca i redditi reali ancora abbondantemente sotto i livelli pre-crisi, il 13% più bassi rispetto al 2007, con una perdita di potere economico equivalente a 5.350 euro. «La debolezza dei redditi medi degli italiani rappresenta più di ogni altro parametro la fragilità del paese e le ragioni alla base di una crescita lenta e affannata», è scritto nel Rapporto. «Nelle famiglie dove il principale percettore di reddito è un lavoratore dipendente, la perdita di potere economico è di 4.180 euro l’anno», ma se il lavoratore è autonomo il valore sale addirittura a 9.330 euro. Fatto 100 i redditi 2007, nel 2018 quelli dei dipendenti sono scesi a 89, quelli degli autonomi a 81. Non c’è da meravigliarsi se «il Mezzogiorno è l’area in cui la perdita di potere economico del lavoro è stata maggiormente impattante». Quello dipendente con una contrazione pari a -18% nel Sud e -19% nelle Isole, quello autonomo del -24%. Anche il Centro Italia «fa registrare una distanza considerevole dai livelli pre-crisi, con un calo dei redditi del 16% (l’equivalente di 6.830 euro l’anno in meno) nelle famiglie dei lavoratori dipendenti e dell’11% in quelle degli autonomi (-5.450 euro). Se il Nord per il lavoro dipendente sembra essersi lentamente avvicinato ai livelli del 2007, nel lavoro autonomo registra una perdita di ben 11.850 euro di valore in meno nel Nord-ovest e di 10.950 euro nel Nord-est, molto al di sotto del periodo pre-crisi.

Tra i fattori che hanno inciso sulla perdita di potere economico dei lavoratori, la riduzione del monte ore lavorate e le trasformazioni della struttura occupazionale. Tra il 2007 e il 2013 l’economia italiana ha perso 4,2 miliardi di ore di lavoro e il lento aumento degli anni successivi non ha aiutato a recuperare il terreno perduto. Il settore che paga il prezzo più alto dei cambiamenti in atto è l’industria (costruzioni comprese) con 2,6 miliardi di ore, mentre la crescita delle ore lavorate nei servizi (+0,5 miliardi di ore) non ha compensato il saldo negativo dell’industria. Senza dimenticare che lo stesso periodo di tempo è cambiato «profondamente il carattere dell’occupazione», con la veloce crescita del tempo parziale (+38%) e il calo del tempo pieno(-4%). Ciliegina sulla torta è che in Italia insieme al danno arriva pure la beffa: nonostante la riduzione dei redditi reali, il gettito erariale cresce più dei redditi. C’è ancora qualcuno disposto a difendere le ricette europee e le riforme del lavoro fatte fin qui, Jobs Act compreso?