di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La ricerca Tecnè sull’Italia del lavoro povero – cui abbiamo dato ampio risalto nel numero odierno de La Meta Serale – restituisce l’immagine di un Paese in affanno. Che non riesce a generare ricchezza diffusa, né a redistribuire quel poco che produce in maniera adeguata. Basti un elemento su tutti: «L’incidenza di famiglie povere sul totale delle famiglie – afferma Tecnè –, tra il 2007 e il 2018 è cresciuta dell’1,8% e l’incremento è trainato proprio da quelle con la persona di riferimento che ha un lavoro». Benvenuti nell’Italia dei «lavoratori poveri». O, per meglio dire, dei «poveri grigi», come li avevamo definiti nel mio libro #POPULECONOMY. Stiamo parlando di un esercito – circa 18 milioni di italiani – non in grado di fare progetti o di far fronte agli impegni economici se sopraggiunge una spesa imprevista superiore agli 800 euro. Talvolta fingiamo non sia così, perché l’avere un lavoro diviene per molte persone un antidoto alle ansie e alle paure, dimenticandoci di come, invece, la debolezza dei redditi medi sia proprio lo specchio della fragilità economica in cui versa il Paese. E qualcuno ha ancora la faccia tosta di chiedersi per quali ragioni l’Italia presenti in assoluto il ritmo di crescita più basso nell’UE. Tutto si contrae, dal potere economico delle famiglie ai consumi. E come possono, quest’ultimi, ripartire se non agendo sul lato dei redditi? Si possono fare tutte le riforme del mercato del lavoro che si vuole, ma se i negozi sono vuoti, le merci restano invendute. La verità è che stiamo pagando oggi più che mai il conto salatissimo degli anni di austerity, a fronte di un timido tentativo di limatura ai conti pubblici, in quanto abbiamo smarrito oltre quattro miliardi di ore lavorate, un deficit che non siamo riusciti ancora a recuperare. L’Italia, insomma, ha bisogno di un aumento di input di lavoro attraverso la leva degli investimenti. Infine, la pressione fiscale si mantiene su livelli troppo elevati, ben al di sopra della media OCSE. Gli italiani, infatti, rappresentano anche un esercito di tartassati, considerata la tassazione che deteriora, ulteriormente se possibile, il potere economico di lavoratori e famiglie. Una menzione speciale merita invece il Mezzogiorno. La ricerca Tecnè ricorda che è stata l’area «dove la perdita di valore del lavoro è stata maggiormente impattante». A parole nessuno si è mai dimenticato del Sud, ma nei fatti – e la crisi ha peggiorato le cose – i divari con il Nord sono cresciuti. Soltanto pochi giorni fa l’Istat ha ribadito come l’emergenza demografica si concentri soprattutto nel Mezzogiorno. Il governo ha presentato di recente il Piano per il Sud – di cui l’UGL ha sempre rivendicato l’urgenza –, un passo in teoria importante, a patto che non sia il “solito piano per il Sud”, ovvero un contenitore di vuote speranze. Deve essere, questo, il tempo delle scelte coraggiose, non degli interventi-spot. Lavoro, istruzione, infrastrutture: il Mezzogiorno non può che ripartire da qui.