di Mario Bozzi Sentieri

“Se il Paese avesse un solo sindacato sarebbe meglio. Il sistema industriale è uno solo, al suo interno ci sono diverse proprietà. Sarebbe meraviglioso che succedesse la stessa cosa con i sindacati”. Lo ha detto Romano Prodi intervistato da Paolo Mieli all’evento per i 110 anni di Confindustria alle Ogr di Torino. “Lo sostengo da tanti anni – ha aggiunto – Il pluralismo sindacale non giova al Paese perché per definizione un sindacato deve andare più avanti dell’altro e in questo caso la concorrenza non può essere virtuosa. È una concorrenza che non ha senso perché il Paese è unico”. È veramente disarmante il semplicismo intellettuale con cui, proprio nell’ambito di una celebrazione storica, viene posto ed affrontato un tema cruciale per la Storia sociale e culturale del nostro Paese. Prodi dovrebbe sapere che l’esistenza di diverse voci sindacali non è una bizzarria, ma ha ragioni profonde, che nascono dalla complessità dei percorsi sociali e culturali che hanno segnato l’Italia, almeno dalla metà del XIX secolo. Se per Sindacalismo, soprattutto in Italia, deve intendersi l’insieme delle teorie e dei movimenti sorti per organizzare i lavoratori dipendenti e per tutelarne i diritti e gli interessi economici, politici, sociali e culturali, è la divergenza dei rispettivi orientamenti ideologici, che ha portato a distinguere diverse “scuole sindacali”: social-riformista, rivoluzionaria, nazionale, cattolica. È contrapponendosi a Karl Marx e all’idea di un partito guida del proletariato, che, nel nome dell’indipendenza sindacale nei confronti sia dei partiti politici che dello Stato, che il Sindacalismo Rivoluzionario ha affermato l’idea che la classe operaia debba agire in maniera autonoma sul terreno della produzione e contando soltanto sulle proprie capacità. È ancora in opposizione alla visione dogmatica del socialismo scientifico d’impronta marxista, nei due aspetti del materialismo storico e dell’internazionalismo di classe che ne sono alla base, che il Sindacalismo nazionale ha anteposto gli interessi nazionali al concetto puro di lotta di classe. Ed è nel segno della Dottrina sociale della Chiesa che è nato il sindacalismo d’estrazione cattolica ed interclassista. Ognuna di queste “scuole sindacali” ha sviluppato una profondità di vedute e diverse chiavi di lettura della realtà che vanno comprese e valorizzate, ben oltre le contingenze, i passaggi contrattuali, la lotta per la rappresentanza. Ignorarne o sottovalutarne l’esistenza, in un’Italia in cui la tendenza all’omologazione culturale e politica è un rischio oggettivo, vuole dire non solo negare il valore del pluralismo sindacale quanto soprattutto, azzerare storie diverse, diverse visioni. Vuole dire omologarsi al “pensiero unico”, un rischio che soprattutto i lavoratori non possono permettersi di correre.