di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Fra le varie proposte formulate dalla maggioranza volte a riformare il sistema pensionistico, la gran parte sono tutt’altro che condivisibili, ce n’è, però, una interessante, della sottosegretaria al lavoro Francesca Puglisi del Pd: “quota mamma”. A dire il vero non si tratta di tutta farina del suo sacco: l’Ugl quest’idea la porta avanti da diversi anni. Già ci sono stati degli endorsement trasversali, anche la deputata di Forza Italia Carfagna, ad esempio, si è detta favorevole, ricordando anche lei l’iniziale collocazione “a destra” di questo progetto. Comunque, più che attribuirsene la paternità, l’importante è che la proposta sia alla fine realizzata nel concreto, perché si tratterebbe di una misura giusta ed anche utile, per varie ragioni. Attendiamo, comunque, di conoscere altri termini e dettagli per una valutazione complessiva: decisamente più discutibile infatti, l’impianto complessivo in cui sarebbe incardinata. Fermandoci alla sola “quota mamma”, la misura consisterebbe nella possibilità, per le lavoratrici madri, di avere un anno di contributi figurativi in più per ogni figlio, anticipando, così, l’età della pensione. Non andrebbe a scontrarsi con il principio di non discriminazione fra i lavoratori dei due sessi; ricordiamo la sentenza della Corte di Giustizia europea del 2008 che impose all’Italia, pena una procedura di infrazione, l’equiparazione dell’età pensionabile fra uomini e donne. Riconoscerebbe, infatti, solo alle lavoratrici madri, non quindi a tutte le donne in quanto tali, ma solo a quelle con prole, i sacrifici e la fatica connessi alla maternità e ai conseguenti compiti di cura dei figli, che sarebbero – in parte – risarciti attraverso un “bonus” pensionistico di un anno di lavoro in meno per ogni figlio avuto. Una forma di giustizia sociale, specie in un Paese come il nostro nel quale, oltre alle naturali e ineliminabili fatiche della gravidanza, alle donne toccano anche quasi per intero gli oneri di cura dei figli, in assenza di servizi adeguati e dato il minore impegno in tal senso dei padri. Le mamme lavoratrici, in particolare, sono provate da una continua e difficile ricerca di conciliazione fra lavoro e famiglia, che determina ricadute non indifferenti in termini di benessere psico-fisico e realizzazione sociale ed economica. La misura consentirebbe di ritirarsi dal lavoro un po’ prima, comprendendo finalmente quanto sia “usurante” per moltissime donne riuscire a mantenere in equilibrio i doveri lavorativi e i compiti di cura dei figli. Porterebbe quindi a un ulteriore riconoscimento del ruolo non solo privato, ma anche sociale della maternità, particolarmente importante in un Paese in profonda difficoltà demografica e in vistoso calo delle nascite come l’Italia. In un’ottica di maggior sostegno alle donne e alle famiglie, potrebbe essere un passo nella direzione giusta.