di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

A conti fatti, non riusciamo a trovare entusiasmante il taglio del cuneo fiscale messo in atto dal governo: per avere effetti sulla qualità della vita dei lavoratori e per innescare la ripresa sarebbe servito ben altro. La misura è anche piuttosto costosa, quindi neanche vale la giustificazione di aver adottato un provvedimento blando per non incidere troppo sul bilancio dello Stato. Si poteva fare di più e, così come congegnato, il taglio sembra più che altro la solita “mancetta elettorale”. Venendo ai numeri, il fondo per finanziare la riduzione del cuneo, istituito con la legge di bilancio, ammonta a 3 miliardi di euro per il 2020 e 5 a partire dal 2021. La misura, date le risorse disponibili, dovrebbe diventare operativa a partire dal prossimo agosto, quindi solo per metà dell’anno in corso, con un costo, su base annua, di circa 6,9 miliardi di euro, e già mancherebbero quasi 2 miliardi per finanziarla nel 2021. Un impegno non da poco, a fronte di risultati modesti. Sono, infatti, ancora esclusi gli incapienti e il bonus è riservato ai lavoratori dipendenti con reddito compreso fra 8.200 e 40.000 euro, ma in modo diversificato. Un aumento vero e proprio va solo ai lavoratori della prima fascia, fra 8.200 e 26.600 euro: 20 euro al mese in più rispetto a quanto già ricevono. Per la fascia di reddito fra 26.600 e 28mila euro non un bonus, ma detrazioni di 100 euro mensili, che diventano poi via via più basse all’aumentare del reddito, tra 28 e 40mila euro. Quindi non più soldi, ma meno tasse, sempre che le detrazioni nuove non si sommino ad altre già esistenti e potrebbe verificarsi il caso di contribuenti che già usufruiscono di quelle massime, per i quali quindi il taglio avrebbe effetti nulli. La montagna ha partorito un topolino. Qualsiasi cifra con un segno positivo nella busta paga dei lavoratori non può che trovarci favorevoli, ma non possiamo ritenerci soddisfatti da una misura che nel migliore dei casi, come spiegato sopra, porta a benefici concreti pari a venti euro al mese. Già eravamo poco entusiasti del “bonus Renzi”; questo, che corrisponde a un quarto di quello, non può ottenere certo maggiore entusiasmo. Per risollevare il Paese, per aiutare in modo strutturale le fasce sociali più deboli, quindi, accanto ai dipendenti, anche i molti che non lavorano, i precari, i lavoratori poveri che pur avendo un’occupazione non arrivano alla soglia degli 8.200 euro, servono interventi forti e mirati che riescano a imprimere una svolta decisa a un’economia che altrimenti, nonostante qualche mancetta, sembra avviata verso il declino. Interventi che prevedano una complessiva revisione del sistema fiscale, mirati a rimettere in moto i consumi, quindi la produzione, quindi l’occupazione e i redditi da lavoro. E poi una riforma del sistema previdenziale finalizzata al ricambio generazionale, che porti avanti quanto avviato da Quota 100, una misura che non solo non va abolita, ma che deve essere, al contrario, rafforzata. Altrimenti non avremo che pannicelli caldi, che calmano per un po’ i sintomi, ma non aiutano il “malato” a guarire.