Un aspetto spesso sottovalutato, ma che, invece, andrebbe considerato da subito, dal primo giorno di lavoro, insieme al riscatto degli anni del corso di laurea, soprattutto per chi ha la fortuna di trovare un posto stabile. Parliamo del momento della pensione che sembra, ed effettivamente è, lontana anni luce per un giovane neo assunto, il quale, però, può e deve interrogarsi su come rafforzare da subito il proprio reddito quando non lavorerà più. Soprattutto a partire dalla metà del primo decennio degli anni 2000 anche se non mancano casi, come ad esempio il credito, datati molto più indietro, hanno preso a svilupparsi i fondi pensionistici di settore in aggiunta alla normale contribuzione previdenziale destinata all’Inps. Ebbene, un recente studio di Mediobanca evidenzia, nel decennio 2008-2018, il successo dei fondi pensioni sia aperti (+49%) che negoziali (+44%) rispetto al trattamento di fine rapporto lasciato in azienda (+22%) o ai buoni ordinari del tesoro (+13%). I fondi negoziali, quelli che nascono da un accordo fra sindacato e associazione di rappresentanza delle imprese, hanno, a loro vantaggio, minori costi di gestione rispetto ai fondi aperti di una banca o di una assicurazione.

La partenza è stata lenta

I fondi pensione si sviluppano in ritardo nel nostro Paese; il grosso parte infatti quasi dieci anni dopo il passaggio dal retributivo al contributivo, i due meccanismi utilizzati per calcolare l’ammontare dell’assegno pensionistico, con il secondo molto più penalizzante del primo. I fondi pensioni sono alimentati dal trattamento di fine rapporto, laddove il lavoratore dipendente lo voglia, e da contributi volontari oppure definiti in contrattazione collettiva. Nella grande famiglia dei fondi pensioni, rientrano quelli cosiddetti negoziali (o chiusi), istituiti dalle parti sociali nelle singole categorie, e quelli aperti, definiti da soggetti finanziari.