La Giunta per le immunità deciderà se Matteo Salvini dovrà essere processato

Il 20 gennaio un evento monopolizzerà la giornata: il voto della Giunta per le immunità del Senato che dovrà concedere (o meno) l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, per il caso Gregoretti. A deciderlo è stata la Giunta per il regolamento, approvando l’odg del centrodestra, nonostante la scadenza dei giorni perentori fissata per oggi. I partiti di maggioranza – Pd e M5s – chiedevano di posticipare il voto, dopo le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria, in programma il 26 gennaio. A spiegarne il motivo è stata la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: «Il tentativo di rinvio del voto sull’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Salvini era una vergogna degna di una maggioranza vigliacca che sa che la maggior parte degli italiani è d’accordo con le politiche di Salvini aveva fatto al tempo, è d’accordo con il controllo dei flussi migratori, che non è d’accordo sul processare un ministro che fa il suo lavoro». Il Partito democratico starebbe valutando l’ipotesi di disertare la Giunta per le immunità. Non c’è ancora l’ufficialità. «Di sicuro – ha osservato il capogruppo del Pd Andrea Marcucci – la Giunta si riunisce in modo illegittimo». E ancora: «Siamo molto preoccupati per la democrazia». Al Pd non è piaciuto solo l’esito del voto: i dem non hanno digerito neanche il modo in cui si è arrivati a tale risultato, accusando di imparzialità la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Nella Giunta, reintegrata di due senatori di maggioranza, le due parti sono 6 a 6, esclusa la presidente. «Alla fine ha gettato la maschera: ha votato insieme alla destra per convocare una Giunta illegale, contro il regolamento e contro il buon senso. È un fatto molto grave. Da oggi non è più considerabile una carica imparziale dello Stato, ma donna di parte», attacca il capogruppo del Pd, Andrea Marcucci. Casellati ha respinto «con forza ogni ricostruzione dei fatti che in qualche modo possa mettere in discussione la terzietà della sua azione ovvero connotarla politicamente, perché non si può essere terzi solo quando si soddisfano le ragioni della maggioranza e non esserlo più, quando si assumono decisioni che riguardano il corretto funzionamento del Senato».