di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Si è spento Giampaolo Pansa ed è doveroso riservargli un omaggio, per il coraggio con il quale ha deciso di combattere una battaglia a dir poco scomoda. Giornalista di sinistra, storico e saggista, dopo aver analizzato il periodo tra i due conflitti mondiali, decise di dedicarsi allo studio degli anni della guerra civile seguita alla fine del regime fascista, con rigore scientifico. Potrebbe sembrare il minimo sindacale per chi svolga una simile professione. Dato il clima nel Paese fu, invece, una decisione a suo modo rivoluzionaria. Nell’Italia dell’infinito dopoguerra, che arriva fino ad oggi, si pensi all’antifascismo ancora ai nostri giorni, nel 2020, dominante nei dibattiti politici e nelle campagne elettorali, aveva sfidato il dogma in base al quale da una parte c’era il bene e dall’altra il male assoluto. Provando a dire e soprattutto a dimostrare nei suoi libri, celeberrimo il primo, “Il sangue dei vinti”, che nella fase di anarchia che seguì la fine del regime, fra i partigiani, accanto a quelli che combatterono valorosamente per le proprie idee, ce ne furono altri, e non pochi, che approfittarono della situazione per efferati regolamenti di conti personali e non solo, a detta dello stesso giornalista e storico, avvenne anche qualcosa di ben più grave, specie nel cosiddetto triangolo della morte e un po’ in tutta l’Emilia-Romagna. Ovvero l’eliminazione organizzata e scientifica dei cosiddetti “nemici di classe”, quindi non solo di persone considerate riconducibili al fascismo, ma anche di un’intera classe dirigente formata da proprietari terrieri, imprenditori, sacerdoti, amministratori locali e politici anticomunisti, da soppiantare per affermare nella zona l’egemonia rossa, anche al fine di una successiva rivoluzione, il tutto portato avanti da alcuni partigiani comunisti, se non con il beneplacito, quantomeno con la protezione della dirigenza del Pci. Una tesi che costò a Pansa critiche e contestazioni feroci da parte della sinistra, impermeabile a qualsiasi forma di autocritica, incline a dipingersi in modo quasi puerile come detentrice del “bene assoluto”, dimenticando o facendo finta di dimenticare, che la politica, di guerra e di pace, è cosa complicata e spesso feroce e, per citare un uomo non certo di destra come De Andrè, bisogna farne di ginnastica d’obbedienza per non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni. Quella ginnastica, Pansa, non la volle fare, a costo di vedersi oggetto di critiche e censure, perfino insulti, anche alla notizia della sua morte. Forse per amore di verità, forse per un senso di giustizia, magari per consentire al Paese di conoscere fino in fondo, e poi, finalmente, definitivamente superare un periodo tragico della propria storia. Proprio per questo, e non solo e non tanto perché noi “si tiene” per la destra, abbiamo voluto rivolgergli un saluto.