di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Anche la neopremier finlandese Sanna Marin, alla fine, l’ha ammesso: la settimana lavorativa “cortissima”, di quattro giorni da sei ore l’uno, è un’utopia. Irrealizzabile perfino in Finlandia, un Paese con un’economia, un debito pubblico e una densità demografica, comunque, imparagonabili rispetto a quelli dell’Italia e degli altri grandi Stati europei. L’idea, lanciata nel corso di una convention socialdemocratica, si proponeva di trasformare l’organizzazione del lavoro a fronte dei cambiamenti nei processi produttivi, consentiti dalle nuove tecnologie. La robotizzazione riduce i posti di lavoro, consente di realizzare gli stessi beni o servizi in minor tempo e con meno personale e quindi, onde evitare un aumento incontrollato della disoccupazione o della sotto occupazione, ecco l’idea, non certo nuova, anzi, dal sapore antico, che sembra rispolverare il vecchio motto della sinistra anni ’70: “lavorare meno, lavorare tutti”. Certo, a chi non piacerebbe un po’ più di tempo libero a pari stipendio? Tornando con i piedi per terra, a meno che non si intenda costruire un sistema economico chiuso, di stampo sovietico, nel quale sia lo Stato a determinare costi e retribuzioni, risulta molto difficile immaginare, nel contesto del libero mercato, all’epoca della globalizzazione, una produzione che riesca a coniugare riduzione dell’orario lavorativo e mantenimento di prezzi competitivi per le merci. Questo non significa, però, dover necessariamente concepire un futuro nel quale i vantaggi della robotizzazione siano goduti esclusivamente dal “grande capitale” a scapito dei lavoratori e dei loro diritti. Una soluzione, una terza via capace di coniugare produttività e responsabilità sociale, un diverso approccio possibile, c’è. Si chiama, non ci stancheremo mai di dirlo, partecipazione, o meglio ancora cogestione. Anche questa un’idea antica, eppure, a differenza degli slogan sessantottini, ancora attualissima. Nel mondo del lavoro odierno, nelle economie più avanzate, si sono progressivamente assottigliati i confini fra lavoro dipendente e autonomo, anche grazie alle nuove tecnologie, rendendo ancor più semplice compiere questo salto di qualità, questo cambiamento di prospettiva. In un’impresa nella quale i lavoratori siano coinvolti nei processi decisionali, siano resi partecipi dei risultati economici, è possibile realizzare una diversa divisione del plusvalore, in parte a beneficio dell’azienda stessa, in parte dei lavoratori-soci, da redistribuire in termini di maggior salario o anche di maggiore flessibilità oraria, compreso anche un eventuale minore orario di lavoro complessivo. Attraverso, però, un processo di corresponsabilizzazione, che consenta vantaggi più diffusi, mantenendo nel contempo la necessaria attenzione verso la sostenibilità economica delle scelte dal punto di vista della competitività dell’impresa.