L’articolo 18 della legge 300 torna prepotentemente terreno di scontro all’interno della stessa maggioranza di governo. È infatti bastata una intervista del ministro della salute, Roberto Speranza, al principale quotidiano nazionale, il Corriere della sera, per aggiungere tensioni in un governo già fortemente dilaniato al suo interno, anche su tematiche diverse dal mondo del lavoro. Al rappresentante di Leu che ha anticipato che al tavolo di verifica avrebbe portato la richiesta «di correggere radicalmente gli errori commessi sul mercato di lavoro», ha risposto il capogruppo del Partito democratico al Senato, Andrea Marcucci, in passato già molto vicino a Matteo Renzi, difendendo a spada tratta il Jobs act, posizione sulla quale si è subito dopo accodato anche il capogruppo di Italia viva a Palazzo Madama, Davide Faraone. Il tutto mentre non è certo un mistero l’insofferenza dei 5 Stelle su larga parte del Jobs act. Insomma, uno scenario di tutti contro tutti nel quale manca, però, un elemento importante: una interlocuzione con i sindacati e le associazioni datoriali. Di certo, neanche Confindustria può negare che il Jobs act in diverse sue parti non funziona dal contratto a tutele crescenti alla gestione degli ammortizzatori sociali, passando per tante altre misure magari meno note, ma con un forte impatto sui lavoratori, come la questione dei controlli a distanza e del mansionamento.