L’uccisione del generale Soleimani a Bagdad rischia di scatenare una guerra fra Usa e Iran

Altissima tensione in Medio Oriente: prima i raid statunitensi contro le milizie filoiraniane al confine fra Iraq e Siria, poi, lo scorso 31 dicembre, l’ambasciata americana a Bagdad presa d’assalto da centinaia di manifestanti sciiti per protestare contro gli attacchi Usa, infine l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, capo dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, colpito ieri da un missile lanciato da un drone americano fuori dall’aeroporto di Baghdad. Nel Paese del Golfo è in corso un vero e proprio braccio di ferro tra Usa e Iran. Entrambe le potenze operano nel territorio iracheno, ancora instabile, in cui sono presenti anche i gruppi terroristici Isis, Al Nusrah e Al Qaida. Negli ultimi mesi l’Iraq è stato ulteriormente scosso da una violenta ondata di proteste antigovernative a carattere socioeconomico. Il Pentagono ha confermato la paternità del raid che ha portato all’uccisione di Soleimani, l’ordine sarebbe partito dallo stesso Trump, bypassando il Congresso, in risposta agli attacchi antiamericani che, secondo gli Usa, lo stesso generale stava organizzando. Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha, invece, definito il blitz statunitense “un atto di terrorismo” mentre l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha minacciato ritorsioni. L’ambasciata Usa sta invitando gli americani a lasciare immediatamente l’Iraq. Una pericolosa escalation che rischia di portare Stati Uniti e Iran sull’orlo della guerra.

Chi era Qassem Soleimani, figura di primo piano della Repubblica Islamica iraniana

Il generale ucciso nel blitz Usa di ieri non era solo un importante capo militare, braccio destro di Khamenei, ma un vero e proprio simbolo per l’Iran, protagonista della rivoluzione che instaurò nel 1979 il regime degli ayatollah.