di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Se cent’anni fa si parlava di tramonto, ora, passato un secolo buono, dovremmo essere all’incirca a notte fonda. L’Occidente è in crisi. Già è difficile individuarne i contorni sul mappamondo e capire chi ne faccia o meno parte. Una volta, ai tempi della guerra fredda, l’Occidente coincideva con l’asse atlantico, l’Europa che guardava ad Ovest insieme agli Stati Uniti, al Canada e agli stati anglofoni del vecchio Commonwealth. Ma quel mondo, che si reggeva sulla dicotomia fra capitalismo e comunismo, è finito da un pezzo, travolto dalla globalizzazione, ed è tutto sommato durato solo per un brevissimo periodo nella storia millenaria della civiltà occidentale. Se, invece, per Occidente si intende l’insieme delle nazioni che discendono dalla cultura europea, allora dovremmo necessariamente guardare anche ad est, Russia compresa. Un insieme di nazioni, però, diviso. Le grandi potenze giocano singolarmente il proprio ruolo politico ed economico sullo scenario mondiale e se l’Unione europea era stata immaginata come un catalizzatore capace di riunire i Paesi del Vecchio Continente per renderli compatti e più incisivi, allo stato attuale possiamo ben dire che le cose sono andate diversamente e i contrasti all’interno dell’Ue sono più evidenti che mai. Si torna quindi all’origine della questione. L’identità occidentale. Un minimo comune denominatore, un insieme di valori irrinunciabili, sulla base dei quali superare gli interessi contrapposti riuscendo così a parlare con una voce sola. Non solo si fa fatica a individuarli, ma risulta persino azzardato provare a immaginarli, basti pensare alle polemiche suscitate dalla proposta von der Leyen di istituire nella Commissione Ue un portafoglio per “la difesa del sistema di vita europeo”. Archiviate le radici cristiane, neanche prese in considerazione quelle classiche, messi all’angolo i diritti sociali, restano forse in piedi quelli civili, per contraddistinguere il nostro modello di sviluppo. Troppo poco, specie se anche questi ultimi, nonostante siano sbandierati spesso dagli amanti del “politicamente corretto”, non vengono fatti valere né difesi fino in fondo per non urtare troppo altre civiltà meno sensibili della nostra. Ne viene fuori l’immagine di un Occidente litigioso, ancora ricco rispetto al resto del mondo, quindi senza la voglia di imporsi dei Paesi emergenti, ma privo di una missione univoca, incline a un cupio dissolvi, destinato a liquefarsi nel mondo globalizzato, in cui l’unica identità è quella del mercato. Serve, per invertire la tendenza, uno sforzo di memoria, alla riscoperta di quel modello sociale insito nella cultura europea, un modello fatto di partecipazione civica e benessere diffuso, così diverso rispetto al mondo attuale, diviso fra l’1% di ricchi e il 99% di poveri e precari. Per immaginare, dopo la notte, una nuova alba per l’Occidente.