Stime di crescita al ribasso per il 2020. La recente prima intesa tra Washington e Pechino non cancella le incertezze

Secondo il Fondo monetario internazionale, l’economia mondiale crescerà poco più del 3% nel 2020. Si tratta di stime su ritmi più lenti da inizio crisi. Molto, sostiene il FMI, dipende dal rallentamento degli scambi commerciali e dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. L’economia mondiale sta rallentando «in modo sincronizzato», afferma per l’esattezza l’organizzazione con sede a Washington. Di recente Usa e Cina, che da mesi hanno avviato una fase negoziale, hanno annunciato di avere trovato un’intesa che dovrebbe diventare operativa con l’inizio del nuovo anno. È piuttosto una boccata d’ossigeno, perché l’accordo – almeno nei termini fin qui conosciuti – sarà utile soprattutto ad evitare un’ulteriore escalation, ma non risolve tutte le questioni sul tavolo. Tornando alle stime del Fondo monetario internazionale, la guerra commerciale, da sola, vale un’importante riduzione del Pil mondiale nel 2020. In verità questo primo accordo tra le parti prevede un congelamento dell’applicazione delle tariffe su prodotti cinesi altrimenti programmata per il 15 dicembre, ma i dazi precedenti restano sostanzialmente in vigore (vengono ridotte dal 15% al 7,5% le tariffe imposte nel mese di settembre su 120 miliardi di import dalla Cina, mentre le altre su 250 miliardi di dollari di prodotti rimangono al 25%). E di fatto saranno la base per la seconda fase di trattative tra Washington e Pechino. Ma quella con la Cina, non è l’unica guerra commerciale che sembra interessare il presidente americano, Donald Trump. Anche l’Europa, del resto, è stata messa più volte nel mirino, soprattutto in seguito alla decisione dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) sulla disputa fra Boeing e Airbus. Uno dei settori più a rischio per le misure protezionistiche statunitensi potrebbe essere l’industria automobilistica europea. A rischiare, però, potrebbero essere diversi i prodotti del “Made in UE” a rischio tra quelli già esentati in una precedente occasione, a ottobre, quando sono stati applicati balzelli dal 10 al 25% su una gamma di prodotti per un totale di 7,5 miliardi di importazioni. Con conseguenti danni anche per il Made in Italy, già penalizzato in particolare nel lattiero-caseario.