L’esecutivo UE nasce, di fatto, già “vecchio”. Sullo sfondo il protagonismo di Macron e una Germania oggi più debole

La nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen è entrata in carica a inizio dicembre, in ritardo rispetto ai tempi inizialmente programmati. C’è voluto più del previsto perché le candidature di alcuni possibili commissari indicati dai governi nazionali e sostenuti da von der Leyen erano state respinte dal Parlamento europeo. È un esecutivo UE, insomma, nato non senza difficoltà – derivanti soprattutto dalla composizione del Parlamento dopo le europee di maggio, in cui le forze europeiste hanno perso seggi, mentre ne hanno guadagnati quelle euroscettiche –, ma che, soprattutto, appare in verità già vecchio. L’Occidente non può fare a meno dell’Europa e delle sue radici, ma l’Europa sembra ancora non capire cosa vorrà essere da grande. L’Europa dei popoli – come l’elettorato, più volte di recente, ha già suggerito – o quella dei burocrati, che hanno già portato a casa diversi fallimenti? La sfida è tutta qui, in fondo. La svolta ambientalista impressa dalla Commissione von der Leyen – il Green New Deal, su cui è stata trovata una prima intesa tra i paesi europei, fatta eccezione per la Polonia che avrà a disposizione più tempo per fare le sue valutazioni – rappresenta sicuramente un tema fondamentale, ma è poca cosa se non adeguatamente supportata da temi più urgenti e stringenti come il lavoro, il calo demografico e il sostegno alla famiglia. E ancora, allargando l’orizzonte, la concorrenza cinese e i tumulti del vicino Medio Oriente o le intemperanze turche. L’Europa saprà prendere posizioni nette rispetto alle grandi questioni internazionali? C’è da aspettarsi, in questo senso, un nuovo approccio dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, oggi Josep Borrell (che prende il posto di Federica Mogherini), dinanzi alle sfide extraeuropee? Sono domande lecite soprattutto in virtù di cambiamenti in essere nelle relazioni con gli Stati Uniti, ma anche nei rapporti all’interno dell’Alleanza atlantica (che il presidente francese, Emmanuel Macron, ha definito in modo tutt’altro che elegante «in morte cerebrale»). È in questo quadro opaco che si insinua il protagonismo di Macron, sempre più intenzionato a colmare il “vuoto tedesco”, dovuto principalmente al progressivo passagio di consegne di Angela Merkel e al rallentamento economico che ha caratterizzato negli ultimi tempi la Germania. In più, sullo sfondo, il nodo Brexit, che dopo la vittoria schiacciante di Boris Johnson alle recenti elezioni britanniche sarà un processo irreversibile. Il 2020, per quest’ultima ragione, sarà un anno di transizione per l’Unione europea: Londra e Bruxelles dovranno trovare intese commerciali e non solo per rendere operativa una Brexit che sia il più ordinata possibile, ma non sarà facile. Il modo in cui i britannici lasceranno l’UE avrà inevitabili ripercussioni sul futuro dell’Europa. Negative? Non è detto.