di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Lo scambio di battute al vetriolo fra i segretari generali dei due maggiori sindacati della Triplice rende l’idea del guado in cui si trova il governo. A suo tempo il Conte 2 era stato accolto molto benevolmente da una serie particolarmente eterogenea di forze sociali, accomunate dall’idiosincrasia nei confronti del precedente esecutivo. Ora però, alla prova dei fatti, dopo pochi mesi di attività, l’esito è talmente deludente da dover correre al più presto ai ripari. Molti, anche nel mondo sindacale, obtorto collo, iniziano finalmente a notare i difetti, a fare dei distinguo, a prendere le distanze dai “giallorossi”, per salvare la faccia di fronte ai cittadini che con le politiche fallimentari del governo si trovano ad avere concretamente a che fare. E così, in queste ore, da un lato Furlan invita il collega Landini a non essere troppo morbido con l’esecutivo: “la concertazione è una cosa seria, non può essere fatta di sorrisi e buone maniere”, dall’altro il leader della Cgil si smarca, dopo la proposta di un “patto per il lavoro”, dicendo di non aver “mai sorriso al governo”. In effetti, c’è ben poco da sorridere se si sommano le crisi aziendali ancora irrisolte o addirittura aggravate, sono centosessanta, a una manovra con qualche cosa buona, ma con misure praticamente nulle se non negative in termini di sostegno all’occupazione e allo sviluppo economico e con in più l’ennesima presa in giro verso i pensionati. Inutile trincerarsi dietro la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Non è così che si realizza quel necessario cambio di passo in grado di dare speranza al Paese. Serve coraggio, anche nel mondo sindacale: il coraggio di non rimanere prigionieri di valutazioni rivelatesi errate. Se lo si è fatto sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, un tempo tabù per molte sigle importanti ed ora invece finalmente riconosciuta in positivo, lo si può fare anche sul resto, perché al dunque ciò che conta sono i fatti, i risultati concreti. A cominciare dalla materia fiscale, anch’essa, per molti, totem intoccabile. Non è una guerra in termini di imposte fra imprese e dipendenti a dare buoni risultati: le aziende sono tenute a rispettare scrupolosamente le leggi e i contratti e se non lo fanno vanno contestate aspramente, ma vanno anche messe in condizione di operare con politiche adeguate dal punto di vista infrastrutturale, energetico, burocratico ed anche da quello fiscale e il sindacato dovrebbe pretenderlo, a beneficio non delle imprese, ma dei propri associati. Così va elogiato chi concretamente con quota 100 ha almeno in parte cancellato una riforma sbagliata, come quella Fornero, anche se non è del colore politico che ci piace, e va, invece, criticato chi discute con Mittal di futuro dell’Ilva e possibili esuberi a porte chiuse, lasciando fuori il sindacato.