Usa: Camera, sì all’impeachment. Trump: «Vogliono annullare il voto degli americani»

La Camera degli Stati Uniti, controllata dal Partito democratico, nella notte di ieri ha approvato l’impeachment per il presidente Usa, Donald Trump, al termine di un dibattito fiume di otto ore sui due capi d’accusa mossi al presidente dai suoi avversari: abuso di potere e ostruzione del Congresso. In questo modo, Trump è il terzo presidente Usa nella storia ad essere posto in stato di accusa dal Congresso federale, prima di lui Andrew Johnson (1868) e Bill Clinton (1998). I due capi d’accusa ruotano attorno alle presunte pressioni di Trump sul suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, affinché Kiev riprendesse le indagini a carico del figlio di Joe Biden, ex vicepresidente e candidato di punta alla presidenza Usa del Partito democratico. Secondo i promotori dell’impeachment, Trump ha minacciato la sicurezza nazionale sospendendo per alcune settimane lo stanziamento di aiuti militari all’Ucraina, presumibilmente a fini ricattatori e per giovare all’interesse personale della sua rielezione. Oltre al Partito Repubblicano, il principale, anzi unico, difensore di Trump è il leader del Cremlino, Vladimir Putin, secondo il quale «la procedura di messa in stato di accusa del presidente americano si basa su accuse totalmente inventate». Il punto vero e ormai sempre più chiaro non è la sicurezza degli Usa, ma il metodo, giustizialista, anziché politico, con cui i partiti all’opposizione di sinistra o di centro sinistra, dall’Italia, passando per l’Europa, arrivando fino agli Stati Uniti, cercano di sconfiggere l’avversario, che sia al Governo o meno. Una pratica che In Italia si conosce fin troppo bene, almeno fin dal 1992, e che, invece di tramontare, viene sempre più praticata a causa, probabilmente, del tramonto delle vecchie ideologie e con la disaffezione dell’elettorato nei confronti della politica, soprattutto mainstream. Come è già accaduto e peraltro continua ad accadere a Matteo Salvini con il caso Diciotti prima e con il caso Gregoretti adesso. «Non ho fatto nulla di sbagliato», «stanno cercando di annullare il voto di decine di milioni di patrioti americani» ha scritto il presidente degli Usa in un tweet, accusando i suoi avversari politici di non aver mai accettato l’esito delle elezioni del 2016. Siamo a soli due mesi dall’avvio delle primarie del Partito democratico in vista delle prossime elezioni presidenziali. Siamo sicuri che sia soltanto uno a mettere in pericolo la sicurezza nazionale per un tornaconto politico personale? Il giudizio finale in merito alle accuse mosse a Trump spetterà al Senato federale, controllato dai Repubblicani. La procedura messa in moto dai Democratici, quindi, non solo rischia di naufragare ma anche di ampliare il solco che in tutte le democrazie occidentali sembra essersi creato tra politica e elettorato, tra élite e popolo