di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

 

Ciò che sta accadendo in questi giorni e ore in Francia – oggi sono 300, ma ieri erano 600, i chilometri di code nell’area intorno a Parigi, nella tredicesima giornata di mobilitazione contro la riforma delle pensioni del presidente Emmanuel Macron – è un’ulteriore conferma di quanto l’Europa sia profondamente disunita.

Forse, neanche da sindacalista potrei permettermi di esprimere apprezzamento per la tenacia dei colleghi e dei lavoratori francesi di tutti i settori, che stanno tenendo sotto scacco Parigi, ma ancora di meno da cittadino europeo, in particolare residente in un Paese, l’Italia, che si è visto recapitare nel 2011 la riforma Fornero (preceduta nel 2010 e nel 2011 da altre due riforme), «necessaria», si diceva allora, affinché l’Italia adeguasse alla media Ue l’età pensionabile e (soprattutto) mettesse in sicurezza i conti pubblici, tanto da dover accettare un Governo tecnico, quello guidato  da Mario Monti.

La Francia ha potuto mantenere fino ad oggi – ricordiamo che nel 1995 fu ritirato il contestatissimo “Plan Juppé” sulle pensioni – 42 regimi speciali, quelli che pesano sul bilancio pubblico, e la possibilità di andare in pensione a 62 (fatta salva l’eccezione degli cheminot, i ferrovieri, che, attualmente, possono farlo a 50 anni e otto mesi), mentre l’Italia (che di regimi speciali ne aveva 47) ha iniziato a riordinare il suo sistema ben 25 anni fa, grazie anche al senso di responsabilità dei sindacati.

Dal sistema previdenziale francese, passando per il surplus di bilancio tedesco, che la Germania conserva gelosamente nelle proprie casse, mentre la recessione minaccia tutto il vecchio continente, senza dimenticare il diverso trattamento riservato dalla Commissione Ue al salvataggio della banca tedesca NordLb, l’Ue continua a mantenere un occhio chiuso davanti ad alcuni, virtuosi a prescindere, e l’altro più che aperto contro altri, scolaretti disobbedienti, che, come ad esempio nel caso dell’Italia, “si sono permessi” con Quota100 di restituire la possibilità ai lavoratori, a determinate condizioni, di uscire prima dal mondo del lavoro. Prima che fosse troppo tardi visto che l’età fissata per andare in pensione è 67 anni. L’Italia tutto questo lo ha fatto senza bloccare strade, senza barricate e senza mettere in ginocchio l’economia di un’intera capitale e quindi del Paese, lo ho fatto con una riforma, ma non si vuole riconoscerle il merito. Perché? Perché si è ribellata.

Dunque l’Europa oggi è tutto fuorché unita e continua ad essere un groviglio di sistemi e di culture diverse e sono proprio tali disparità, insieme ad altre riforme scellerate portate avanti in nome dell’equilibrio dei conti pubblici e della demonizzazione del debito pubblico (sempre e solo per alcuni, non per tutti), ad aver portato all’insorgere del sovranismo in Italia che, alla luce delle barricate francesi, dei dietrofront e dei tanti distinguo che la Commissione Ue continua a fare, forse è arrivato fin troppo in ritardo.