di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Si possono valutare (e votare) i politici in base alla simpatia o all’antipatia? Probabilmente non è il metodo più razionale, ma anche le sensazioni hanno una certa importanza nella cabina elettorale. Qualcuno ha detto, forse per sminuire Johnson, che i conservatori inglesi hanno ricevuto un aiuto involontario per la propria epocale vittoria alle elezioni di ieri, proprio dall’avversario, Corbyn, talmente antipatico da risultare indigesto anche agli stessi laburisti. Mentre il leader dei Tories è riuscito a stabilire una connessione profonda con il popolo britannico. L’errore di fondo nella comprensione del fenomeno “populista” si trova proprio in questa costante svalutazione dell’elettorato. Il voto “di pancia” in realtà è invece un voto consapevole, meditato, più di quanto non si voglia ammettere, resistente all’apparato mediatico, capace di far superare persino le appartenenze storiche. Lo dimostrano le roccaforti labour espugnate da Boris, come qui da noi sta accadendo un po’ dappertutto, si pensi all’Umbria. Cosa rende la sinistra tanto invisa? Le ricette economiche non sono la risposta: caduto in disgrazia il progetto new-labour, con i riformisti in difficoltà, neanche la sinistra “vecchia scuola” è stata capace di riconquistare l’elettorato inglese e questa, come le altre, ha tutta l’aria di essere una tendenza internazionale. Alle radici della questione, più che sensazioni, ci sono fatti in base ai quali l’ago della bilancia elettorale pende sempre più spesso a destra. Il fatto che quest’ultima prenda sul serio il popolo, si confronti con i cittadini da pari a pari, non considerando l’elettorato come una specie di bambinetto indisciplinato da educare. In Gran Bretagna la confederazione sindacale vicina ai conservatori, la Union Blue, ha contribuito in modo decisivo alla vittoria di Johnson, ascoltando i lavoratori – molti dei quali ex laburisti – analizzando i problemi, cercando delle soluzioni. Lavoratori messi in crisi dalla globalizzazione, contrari alla permanenza nell’Ue e per i quali “leave means leave”. La seconda ragione, collegata alla prima, è la crisi, profondissima, dell’ideologia della globalizzazione, che la sinistra si ostina a non riconoscere, nonostante il grido popolare. È questa ostinazione che rende la sinistra “antipatica”. Il sogno del villaggio globale in Occidente si è trasformato per moltissimi in un incubo. Si chiede con forza un ritorno a una dimensione più vicina, a un rapporto diretto con i decisori politici, che devono essere espressione del popolo, non entità astratte e lontane appartenenti a organismi sovranazionali, a una piena libertà d’azione che consenta di attuare le politiche giudicate più utili per gli interessi nazionali. Che siano politiche liberiste o sociali a questo punto neanche sembra più fare la differenza, l’importante è che siano autodeterminate.