di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli; per stanarlo serve, quindi, un po’ di circospezione. Capita spesso, infatti, esaminando più attentamente qualcosa a prima vista privo di difetti, di scorgere un baco, un piccolo particolare capace, però, di conferire all’insieme un significato inaspettato e meno rassicurante. Le clausole scritte in piccolo in un contratto, la parola stonata che rivela il falso amico e così via. Come nella vita quotidiana, allo stesso modo anche in quella politica. Alla luce dei fatti recenti, un esempio potrebbe trovarsi nella storica battaglia dei Cinque Stelle per l’introduzione del vincolo di mandato per deputati e senatori della Repubblica. Il divieto di tale vincolo è sancito nella Costituzione, all’articolo 67, che recita testualmente: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Serviva, nelle intenzioni dei costituenti, a garantire che i rappresentanti politici, una volta eletti, avessero la possibilità di comportarsi nel modo ritenuto più giusto al fine di tutelare l’interesse superiore dello Stato, anche a costo di andare contro le scelte del partito di appartenenza o di gruppi economici, sociali o territoriali di riferimento e quindi potendo, anche in corso di legislatura, cambiare compagine e schieramento. Come purtroppo a volte accade, in alcuni casi l’articolo 67 è stato mal utilizzato da qualche parlamentare poco idealista, che si è avvalso della libertà d’azione attribuitagli dalla Costituzione non per nobili motivazioni, ma per giochi di palazzo o interesse personale. Da ciò la battaglia grillina: abolire l’articolo incriminato per impedire agli onorevoli di “cambiare casacca”. Una battaglia apparentemente giusta, come si possono, infatti, prendere voti da una parte e poi portarli dall’altra, contraddicendo la volontà dei propri stessi elettori? Però – ed ecco il dettaglio “diabolico” – cosa accadrebbe se si vincolasse l’eletto al partito e poi fosse il partito stesso a cambiare completamente linea politica, strategia e programma? È quello che sta accadendo in questi giorni, con la giravolta, l’ennesima, dei pentastellati in tema Mes. Senza vincolo almeno ognuno può decidere il da farsi, se restare o lasciare. Altrimenti ci si troverebbe in una trappola, costretti a tradire non solo i propri elettori, ma soprattutto ciò che si ritiene più giusto per l’interesse collettivo, andando contro la propria coscienza, anteponendo a tutto la fedeltà a una sigla svuotata di contenuti. Ciò che davvero sorprende è che, ancora intatto – a questo punto per fortuna – l’articolo 67, a fronte di tante e tanto vistose giravolte del Movimento, delle quali rispetto al programma iniziale quella sul Mes è solo l’ultima di una lunga serie, tale libertà di pensiero e d’azione sia stata usata solo da così pochi eletti.