di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Sembra esserci un vero e proprio accanimento contro l’acciaieria, destinata, nel difficilissimo percorso verso una possibile soluzione per il proprio futuro, a trovarsi la strada sbarrata da sempre nuovi ostacoli. Già conosciamo la complessità della trattativa in corso fra Governo e ArcelorMittal, i lavoratori hanno appena concluso le manifestazioni per chiedere il rispetto degli accordi su occupazione e sicurezza ed ora, con una nuova ordinanza, il Tribunale di Taranto ha respinto la richiesta dei commissari di prorogare di un anno l’uso dell’altoforno 2 per avere il tempo necessario ad attuare le prescrizioni sull’automazione. Dopo il parere positivo della Procura, che avrebbe concesso altro tempo, ora il giudice Maccagnano ha detto no, dato che l’altoforno non è sicuro e concedere la proroga richiesta significherebbe esporre i lavoratori a dei rischi, mettendo in secondo piano la loro tutela rispetto alla necessità di continuare la produzione. Salvo un nuovo ricorso, giunti alla data di scadenza per mettere a norma il sito, ossia il 13 dicembre, potrebbe avviarsi il cronoprogramma per lo spegnimento. Che uno dei maggiori problemi del sito pugliese sia l’altoforno 2 è cosa nota e tutti ricordiamo la tragica morte di Alessandro Morricella, che ha dato avvio all’inchiesta. È evidente la necessità e l’urgenza di mettere finalmente in sicurezza l’impianto. Ciò che lascia, però, sconcertati è la totale assenza di una qualsivoglia forma di sinergia nel sistema Paese e fra i poteri dello Stato, in grado di mettere in atto una strategia volta a ottenere una soluzione positiva per questa complicatissima crisi industriale, ovvero il mantenimento delle attività produttive e la contemporanea bonifica ambientale. Solo questo è il possibile esito positivo: occorre comprendere che l’ipotesi di uno spegnimento degli impianti comporterebbe un rinvio a data da destinarsi anche delle opere di messa in sicurezza, oltre a significare la cessazione delle attività e quindi la perdita del lavoro per migliaia di persone. La decisione del giudice di Taranto pone un’altra pesantissima ipoteca sul futuro dell’ex Ilva. Probabilmente ed auspicabilmente con un nuovo ricorso si rimanderà ancora lo spegnimento, ma anche quest’ultima complicazione mette in evidenza l’estrema debolezza del Paese, complica le trattative, fornisce ulteriori alibi alla multinazionale, che, assieme al tira e molla sullo scudo penale, poneva proprio il ruolo della magistratura a giustificazione per il proprio disimpegno. Nonostante il governo ostenti ottimismo e Gualtieri parli di “un piano ambizioso per il rilancio di Ilva nel segno della sostenibilità, dell’occupazione, dell’ambiente e dell’innovazione”, quel che osserviamo è un continuo prestare il fianco dell’Italia, dei suoi lavoratori e del suo sistema economico e produttivo.