Quando a regnare è il mimetismo politico

di Mario Bozzi Sentieri

Cos’è il pensiero debole? A volere semplificare è il trionfo del relativismo, una non-verità circoscritta nel tempo e dunque destinata a spegnersi. Insomma, l’esatto opposto di qualsiasi visione “alta” della vita e quindi della politica. La crisi della sinistra italiana è tutta qui. Impegnata a sbiadire la propria Storia e la propria identità, a cambiare nome, a frantumarsi, sempre nel segno dell’evocata unità, in una miriade di partitini e movimenti, quella che un tempo era (art. 6 dello Statuto del Pci, gennaio 1966) “l’avanguardia della classe operaia e di tutti i lavoratori” impegnata a lottare “per l’indipendenza e la libertà del paese, per l’edificazione di un regime democratico e progressivo, per la eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per la libertà e la valorizzazione della personalità umana, per la pace tra i popoli: per il socialismo” è ora diventata una pallida rappresentazione politica, non più in grado di parlare all’Italia reale (la disprezzata “pancia” del Paese), di interpretarne bisogni ed aspettative. “Il PD è un partito antifascista che ispira la sua azione al pieno sviluppo dell’Art.3 della Costituzione”: esordisce così, all’articolo 1, il nuovo statuto del Partito democratico approvato, recentemente a Bologna. Antifascismo e uguaglianza: un po’ poco per rispondere alla complessità contemporanea e per “dare una linea”  ai tanti cittadini in cerca di ragioni autentiche per credere nella politica, nella possibilità dell’atteso cambiamento, per anni coltivato. I risultati si vedono. Non a caso, in piazza, anche lo “Stato nascente” delle sardine rifiuta bandiere e simboli di partito, accontentandosi di qualche sagoma di cartone e trincerandosi dietro un “no” generico (contro i sovranisti) senza porsi il problema del “che fare”. Anche le sardine pagano la pochezza intellettuale di un mondo (di sinistra) da cui provengono, che si alimenta di non-verità (l’avversario brutale ed opprimente) e che coltiva il mimetismo, dimostrandosi tanto nuovo da cadere nel trappolone di “Bella Ciao”, l’inno della nostalgia antifascista (guarda caso l’incipit dell’articolo 1 del nuovo statuto del Pd). Lo stesso mimetismo che ha contraddistinto l’avvio della campagna elettorale, per le Regionali in Emilia-Romagna, di Stefano Bonaccini (del Pd fino a prova contraria) impegnato a smarcarsi rispetto a qualsiasi appartenenza (e sfida) politica fino al punto da scegliere un manifesto senza simbolo con un colore di base verde simil-bossiano, che ha suscitato un certo sconcerto nell’elettorato tradizionale della sinistra, polemiche a non finire sui social e  commenti sarcastici nel mondo politico (Bonaccini gioca a fare il leghista?). Il presidente uscente si vergogna talmente della classe dirigente che sta al Governo che ha chiesto ai ‘big’ della maggioranza di non andare in Emilia Romagna per non penalizzarlo. Qualche anno fa Matteo Renzi, ai vertici del Pd, teorizzava (e praticava) il movimento continuo, venendo così risucchiato nei gorghi della società liquida, alla ricerca perpetua di un “progetto” tanto evanescente da fare perdere di vista gli esatti confini tra il partito politico e la fondazione “di famiglia” (ora nel mirino della Magistratura). A sollevare una “questione di etica politica” il tesoriere del Pd, Luigi Zanda, che invita a riflettere sul “conflitto di interessi” di Renzi, quando questo raccoglieva fondi per la Fondazione stando alla guida del partito. In vista delle elezioni regionali, anche in Calabria il Pd gioca sul mimetismo politico, con la candidatura civica dell’imprenditore Pippo Callipo, il “re del tonno”, alternativa a quella di Mario Oliverio, l’attuale governatore del dem, scaricato dal partito, a causa dei troppi guai giudiziari in cui si è impantanato. Mettiamo tutto insieme ed avremo l’immagine perfetta (e perdente) del Pd zingarettiano, punta avanzata della nuova sinistra di governo: debolezza di pensiero, mancanza di una visione strategica, ambiguità di fondo (tra il moralismo della piazza sardinista e l’affarismo), timore ad affrontare il confronto politico (con un presidente di regione uscente che nasconde le sue appartenenze di partito). In sintesi propaganda pura senza una visione progettuale. Scriveva, nel 1949, Ignazio Silone, in rotta con il Fonte popolare social-comunista: “La distinzione fra teorie e valori non è ancora abbastanza chiara nelle menti di quelli che riflettono a questi problemi, eppure mi sembra fondamentale. Sopra un insieme di teorie si può costruire una scuola e una propaganda; ma soltanto sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una civiltà, un nuovo tipo di convivenza tra gli uomini”. A settant’anni di distanza la sinistra conferma di essere ferma alla propaganda. La Politica, quella con la P maiuscola – evocata dalle sardine – è evidentemente un’altra cosa. Certamente non dimora a casa del Pd, di Bonaccini e di Renzi.