di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl
L’attualità politica sta riportando in auge una questione da tempo, ingiustamente, accantonata: quella relativa al ruolo dello Stato nell’economia. Per alcuni anni il tema è stato in qualche modo un tabù. Il pensiero neo-liberista, affermatosi a partire dagli anni ’90 parallelamente alla globalizzazione, e ora su più versanti messo in discussione, su questo punto era irremovibile, considerando negativamente ogni forma di presenza pubblica nell’economia e agendo per un suo ridimensionamento in ogni settore, compreso quello del welfare. Una visione diffusa in tutto il mondo Occidentale, ma che nel nostro Paese si era affermata anche a causa scandali di vario tipo, a volte gravissimi, nella gestione della cosa pubblica, venuti alla luce specie all’epoca di “mani pulite”, che, però, avevano determinato una reazione distorta sul ruolo dello Stato, incitando a “gettar via il bambino con l’acqua sporca”, in parole povere impedendo un’analisi meno emozionale e più obiettiva della situazione. L’Ugl ha sempre mantenuto la barra dritta, contrastando il processo di smantellamento della presenza dello Stato nei settori strategici, iniziato nel periodo delle grandi liberalizzazioni, e difendendo il sistema di assistenza sociale pubblica. Se, infatti, sono necessarie maggiore efficienza e qualità nella gestione delle attività pubbliche ed ogni forma di cattiva amministrazione va contrastata con fermezza, non bisogna, però, dimenticare il fatto che privato non significa necessariamente efficiente, se non si realizza un contesto normativo e di controllo adeguato, e allo stesso modo non bisogna perdere di vista il principio in base al quale in alcuni settori gli interessi collettivi devono prevalere su quelli privati. I settori che si occupano di quei beni e quei servizi di importanza tale da non poter essere lasciati alle scorribande del mercato. L’energia, le risorse idriche, la logistica, la difesa, beni primari per la sopravvivenza stessa della Nazione, devono essere regolamentati in modo rigoroso, quando non direttamente gestiti dallo Stato. Così come la sanità, l’istruzione, la previdenza, l’assistenza. Senza con ciò voler sminuire il ruolo delle iniziative private, a completamento e miglioramento del servizio anche in tali settori. Quel modello sociale che un tempo era il vanto dell’Italia e dell’Europa, prima dell’arrivo delle dottrine dell’austerity. Uno Stato aperto, basato sull’economia sociale di mercato, favorevole all’iniziativa privata, da supportare adeguatamente attraverso politiche industriali, infrastrutturali, energetiche e fiscali, nell’obiettivo della crescita del benessere e dell’occupazione, vigilando sempre sull’applicazione delle leggi e sul rispetto dei diritti del lavoro. Ma anche uno Stato pienamente sovrano, fondato sul primato della politica sull’economia.