Con il nuovo Fondo Salva-Stati, l’Italia paga ma non conta
Per chi si fosse (o no) lasciato impressionare dalla rissa scoppiata in Aula alla Camera sul Mes, ieri pomeriggio, con conseguente sospensione della seduta da parte del presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, il punto resta comunque lo stesso: qual è la verità sull’accordo di riforma del Meccanismo europeo di stabilità o Fondo Salva-Stati, organizzazione intergovernativa con un capitale di 80 miliardi di euro che ha il compito di aiutare gli Stati in gravi minacce o difficoltà finanziarie. Composta da 19 Paesi e sostenuta dagli apporti finanziari degli stessi in base al peso delle loro economie – Germania 27%, Francia 20% e Italia 17% (pari a ben 14,3 miliardi di contributo), ma con un potere di veto sulle più importanti nomine in capo ai primi due, che rischia di farci rimpiangere le “lacrime e il sangue” di montiana memoria. La bagarre è scoppiata alla Camera – dove si svolgerà un’informativa con Conte – mentre il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in audizione in Senato presso la Commissione Finanze affermava, per difendere la riforma e Conte, che possibilità di modifica del trattato non ce ne sono. Ha detto: «A febbraio verrà firmato (il trattato sulla riforma del Mes, ndr), le ratifiche successivamente, quindi la pausa per riflettere c’è», ma «il testo è concordato e se chiedete se è possibile riaprire il negoziato vi dico che secondo me no, il testo del trattato è chiuso». In che modo? Non è affatto chiaro neanche questo. Perché se è vero come sostengono l’ex (Giovanni Tria) e l’attuale ministro dell’Economia, che è stato sventato il tentativo di Germania e Olanda di instaurare meccanismi automatici di ristrutturazione del debito del Paese che chiede aiuto (soprattutto se il debito pubblico è molto alto come il nostro) – il che significa dire addio alla sovranità –, sarebbero rimasti però alcuni criteri voluti dal temibilissimo ex ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schauble, come quello, ad esempio che lega l’intervento precauzionale del Mes, prima che la crisi di uno Stato si manifesti, al rispetto del rapporto tra debito e Pil al 60% o la sua riduzione di un ventesimo l’anno. Senza dimenticare che si parla di un fantomatico «working document», un documento di lavoro, di cui nessuno conosce con esattezza il contenuto, in cui è indicata una metodologia comune per calcolare la sostenibilità dei debiti pubblici dei singoli Paesi e la loro capacità di rimborsare i prestiti. Proprio quei pericolosi automatismi che l’Italia era riuscita a far eliminare.