di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Finalmente inizia a farsi largo una visione più obiettiva sui salvataggi via mare effettuati dalle organizzazioni non governative: il tribunale dei ministri di Roma ha, infatti, ammantato di valore istituzionale quanto moltissimi italiani pensavano già da tempo, ovvero che per lo sbarco dei migranti le Ong si dovrebbero rivolgere innanzitutto allo Stato di bandiera della propria nave. Questa presa di posizione della magistratura non è importante solo perché determina l’archiviazione delle accuse mosse contro Salvini, ministro dell’Interno all’epoca dei fatti, che era indagato per omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio per aver negato lo sbarco ai migranti che si trovavano a bordo della Alan Kurdi, nave della Ong tedesca Sea Eye, lo scorso aprile. La sentenza è rilevante anche e soprattutto perché smonta il “teorema dell’odio” messo in piedi dalle sinistre per giustificare le proprie politiche antinazionali e denigrare la parte avversa. Non si tratta, infatti, di scagionare solo il singolo politico, né il partito che rappresenta. Vengono, di fatto, finalmente scagionati gli italiani. Che finora non solo erano stati costretti a sobbarcarsi, assieme agli altri Stati del sud d’Europa, la gran parte degli oneri delle migrazioni, ma erano anche stati additati come egoisti e poco solidali. Senza, invece, comprendere l’esasperazione derivante dal fatto di esser stati lasciati soli ad affrontare un fenomeno particolarmente complesso, nell’indifferenza dei più ricchi Stati nordeuropei. Questa sentenza, invece, attribuisce a ognuno la sua dose di responsabilità. Fermo restando il fatto che la questione andrebbe affrontata “a monte” nei Paesi d’origine, cercando di risolvere i gravi problemi politici, economici, sociali e ambientali, che spingono molti a emigrare, fermo restando che si dovrebbe combattere in modo più efficace il sistema di sfruttamento che lucra sull’immigrazione irregolare, non è accettabile il fatto che tutte le persone soccorse in mare debbano essere necessariamente portate verso solo pochi, pochissimi Paesi, fra cui l’Italia. Poche ore in più di viaggio, necessarie per raggiungere altri porti, non sono una scusa sufficiente: abbiamo assistito a prove di forza durate il tempo di circumnavigare il Mediterraneo, rafforzando l’impressione che quella di alcune Ong fosse una presa di posizione più politica che umanitaria. Certo, come affermato dallo stesso tribunale dei ministri “la normativa non offre soluzioni idonee ai fini di un intervento efficace”, ma compito delle organizzazioni internazionali, Ue e non solo, perché non solo l’Europa dovrebbe farsi carico del problema, dovrebbe essere proprio quello di individuare le necessarie disposizioni legislative orientate a soluzioni il più possibile eque. Il lavoro da fare è ancora molto, ma un primo passo, con la sentenza Sea Eye, è stato fatto.