di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

All’indomani dell’informativa sulle crisi aziendali del ministro Patuanelli alla Camera dei Deputati, è necessario fare il punto della situazione, anche alla luce dello studio di Forza Italia che ha stimato in oltre 210mila i lavoratori a rischio nel Paese. Il ministro dello sviluppo economico, nella sua relazione, ha dipinto un quadro a tinte fosche, in cui dei 149 tavoli di crisi ben 102, pari al 68,5%, sono attivi da più di tre anni e 28 da più di sette. La quantità delle vertenze è, nel complesso, in linea con gli anni precedenti, il picco nel 2017 con 165 tavoli aperti e il livello più basso raggiunto lo scorso anno, con 144. Numeri che sintetizzano il fatto che la nostra economia, a oltre dieci anni dall’esplosione della crisi in Europa, non ha ancora imboccato la strada della ripresa. Conosciamo le vertenze maggiori, Ilva e Alitalia, definite le più complesse dallo stesso titolare del Mise, riguardanti aziende strategiche, che impiegano migliaia di persone. Oltre a queste ce ne sono molte altre, Whirpool, Blutec, Piaggio Aereo, per non parlare, poi, delle tantissime aziende di piccole e piccolissime dimensioni che non arrivano neanche ad essere oggetto delle attenzioni del ministero e che pure complessivamente costituiscono una parte fondamentale dell’economia e dell’occupazione italiana. Ed ecco che si arriva alla somma conteggiata da Fi, 210mila persone, e relative famiglie, in bilico, senza certezze in merito al proprio futuro lavorativo. Il ministro, comunque, si è detto ottimista, specie sulla risoluzione della vicenda Alitalia, anche se al momento non è dato sapere a quale titolo. In una fase di totale incertezza, come quella che sta vivendo l’Italia, l’ottimismo è necessario, doveroso, per un rappresentante del governo, ma non certo sufficiente. Servono politiche industriali più incisive e orientate alla crescita di cui al momento non si vede traccia, ma, ferme restando le nostre considerazioni sull’operato insoddisfacente dell’esecutivo, occorre anche dire, come lamentato dallo stesso Patuanelli in uno spunto particolarmente interessante della sua relazione, che quello che manca, è anche e soprattutto una strategia comune europea. Si sente continuamente ripetere che l’Ue è nata per rendere più forti gli Stati membri, che altrimenti, presi singolarmente, sarebbero stati schiacciati dalla concorrenza delle grandi potenze economiche mondiali. Finora, però, l’impressione è che l’Unione, così com’è strutturata, anziché fare quadrato per difendere la produzione europea sia, al contrario, un freno alla ripresa. Tra regole di bilancio, caso Mes, rigidi limiti al supporto statale per risolvere le crisi aziendali, i famosi e vietati “aiuti di Stato”, sembra quasi che l’Ue stia contribuendo a rendere il pantano della crisi ancora più vischioso, impedendo così di lasciarcelo finalmente alle spalle.