di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Dopo il caso Ilva, ancora irrisolto, arriva una nuova bomba economica e sociale pronta ad esplodere, mettendo nuovamente a dura prova l’esecutivo “giallorosso”: alla vigilia dei termini per la presentazione dell’offerta per l’acquisto di Alitalia, che scadono tra meno di 48 ore, a sorpresa, Atlantia si è ritirata dalla cordata, lasciando quindi gli altri partner, Fs, Mef ed eventualmente Delta Airlines, nell’impossibilità di presentare una proposta d’acquisto per la compagnia aerea. Insomma, di nuovo una grande azienda, stavolta Atlantia come pochi giorni fa ArcelorMittal, sta alzando la posta nel braccio di ferro con un governo che appare particolarmente debole, indeciso sulla linea da seguire, diviso fra le sue componenti politiche e quindi inadeguato nella gestione delle trattative, prestando così il fianco a simili mosse imprenditoriali particolarmente spregiudicate. Il tutto sulla pelle, innanzitutto, dei lavoratori direttamente interessati: i dipendenti di Alitalia come quelli dell’Ex-Ilva. A seguire, delle aziende dell’indotto, con relative maestranze. Poi, a cascata, a danno degli italiani nel loro insieme, costretti a subire le conseguenze di un’economia in affanno, che si ripercuotono in ogni settore creando un circolo vizioso di stagnazione e disoccupazione, e anche tenuti a imbarcarsi in prestiti ponte, commissariamenti e procedure di salvataggio in extremis, impegnando quindi risorse pubbliche che avrebbero potuto essere destinate ad altri fini, alla riduzione delle tasse o al miglioramento dei servizi di welfare, ad esempio. Una situazione che diventa via via più insostenibile, creando un clima da “resa dei conti” per una classe politica incapace di agire concretamente per il bene del Paese. Il che significa non attrezzata a sostenere il confronto con le grandi aziende che, come è naturale che sia, pensano essenzialmente al proprio profitto e come tali vanno trattate: mettendole da un lato in condizione di lavorare, dall’altro controllandole affinché operino in modo conforme alle leggi. Negli ultimi anni la politica è stata carente su entrambi i fronti, non avviando politiche industriali, fiscali, energetiche, infrastrutturali capaci di rendere appetibile fare impresa nel nostro Paese, e non mettendo neanche in atto i dovuti controlli, specie sulle grandi multinazionali che operano in settori particolarmente delicati. La gestione di Autostrade, con la tragedia del ponte Morandi, come quella dell’Ilva dei Riva, ancor prima di ArcelorMittal, lo testimoniano eloquentemente. Servirebbe un deciso cambio di rotta, una vera e propria inversione a U nella gestione del patrimonio industriale e infrastrutturale italiano, ma non vediamo segnali incoraggianti che ci permettano di aver fiducia nelle capacità dell’esecutivo in carica. Sperando di vivamente di sbagliare, perché stavolta la posta in gioco è davvero alta.