Stipendi a rischio, nonostante crediti vantati per circa 50 miliardi di euro

Una ragione in più, anzi due, per fare presto a trovare una soluzione per l’Ilva. Non c’è infatti soltanto la partita relativa ai dipendenti del colosso siderurgico con sedi fra Puglia e Liguria; vi è tutta la questione dell’indotto da affrontare con celerità. Soltanto su Taranto, insistono almeno 6mila occupati in aziende che forniscono beni e servizi necessari al funzionamento dello stabilimento. Imprese che oggi vantano crediti per circa 50 milioni di euro che potrebbero diventare poco più che carta straccia, se non si arrivasse ad una soluzione positiva per tutti. Dopo i dipendenti di Ilva, anche quelli dell’indotto si sono fatti sentire con una manifestazione davanti al ministero dello sviluppo economico; perdurando lo stallo o peggio andando verso lo spegnimento dei macchinari, gli stipendi già di novembre sarebbero una chimera. Come ha ricordato una nota di Confindustria, queste aziende hanno già dovuto rinunciare a 150 milioni di euro per effetto del passaggio di Ilva in amministrazione controllata. La questione indotto Ilva, però, fornisce anche una seconda chiave di lettura, vale a dire la necessità di mettere mano alla normativa sugli ammortizzatori sociali. La riforma Fornero prima e il Jobs act dopo hanno finito, paradossalmente, per acuire certe carenze di sistema, con il risultato che migliaia di lavoratori potrebbero trovarsi, loro malgrado, senza occupazione né sostegno al reddito.