di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La notizia di ieri, la decisione presa dalla multinazionale Whirlpool di bloccare la cessione del sito di Napoli, non può che rallegrarci e farci tirare un sospiro di sollievo per la sorte dell’azienda e soprattutto dei dipendenti, più di 400, ai quali occorre aggiungere quelli dell’indotto. Ma, occorre dirlo, la questione è seria e non può essere liquidata in modo semplicistico. Vinta – grazie alla tenacia dei lavoratori – questa prima battaglia, ora, attraverso una trattativa che si preannuncia molto complessa, bisogna anche riuscire a vincere la guerra, ovvero garantire un futuro solido al sito produttivo. Dal canto suo Whirlpool è stata piuttosto chiara: se da un lato l’azienda ha preso la decisione di non interrompere subito la produzione e quindi non avviare la procedura di licenziamento collettivo, per “rilanciare un dialogo costruttivo”, d’altra parte ha ribadito che “va cercata una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito”. Quindi, nonostante i toni trionfalistici di Patuanelli e del governo, il problema non è stato affatto risolto, ma solo rimandato al prossimo marzo, quando l’azienda comunque lascerà il sito, come ben sanno dipendenti e rappresentanti sindacali, che, infatti, non hanno revocato lo sciopero che oggi ha portato per le strade di Napoli migliaia di persone a protestare per il diritto al lavoro. La vicenda Whirlpool, al di là del singolo caso, sebbene importante, è emblematica perché rappresenta la situazione economica generale. Le vertenze irrisolte sono infatti centinaia e l’esecutivo dovrebbe affrontarle con un’assertività e una lungimiranza che al momento facciamo fatica a riscontrare. Occorre un progetto solido per interrompere il processo di deindustrializzazione in atto nel Paese, che attanaglia in particolare il Mezzogiorno. Un progetto fatto di politiche infrastrutturali ed energetiche, che incentivi le aziende ad investire ed a restare, un progetto che contempli soluzioni innovative e coraggiose volte a semplificare la burocrazia e alleggerire la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, altrimenti, in un mondo globalizzato, non si riuscirà ad interrompere il processo costante delle delocalizzazioni. Insomma, non basta cercare di rattoppare una diga pronta a crollare di fronte all’alluvione incombente. L’impressione, invece, è che al momento non si riesca ad andare oltre schemi sorpassati: qualche sussidio per tamponare qua e là, per dilazionare un declino che non si riesce o non si vuole affrontare e che non si potrà certamente invertire attraverso le misure deboli messe in atto dal governo, che raschiano il fondo del barile con balzelli volti a racimolare le ultime risorse degli italiani, senza invece realizzare quel cambio di passo significativo, vigoroso, radicale, ormai necessario e non più rinviabile.