di Francesco Paolo Capone

Segretario Generale Ugl

Avrebbe dovuto essere il punto d’arrivo della rivolta grillina, dopo l’apertura del Parlamento “come una scatoletta di tonno”, come recitava lo slogan pentastellato ormai diventato proverbiale. E, invece, nonostante la quasi unanimità dei voti a favore ottenuti alla Camera dei deputati, 553 sì, 14 no e due astenuti, nonostante il flash mob messo in atto da Di Maio e dai suoi a Montecitorio, con tanto di poltrone e forbici giganti in cartonato, la riduzione dei parlamentari si è rivelata una rivoluzione flop. Nessuna particolare esultanza da parte della cittadinanza, nessun clamore sui social. I motivi sono diversi. Innanzitutto, come già molti commentatori e – soprattutto qualche tempo fa – diversi politici dicevano, quella del taglio sic et simpliciter delle poltrone parlamentari, da 945 a 600, è una riforma sostanzialmente inutile se non dannosa. Economicamente incide poco, ma non è questo il punto. Del resto si tratta di un taglio dal valore essenzialmente simbolico, come ad esempio quello delle “pensioni d’oro”, volto soprattutto ad indicare alla cosiddetta casta che “la pacchia è finita”. E fin qui si può anche trovare una certa logica in questa misura. Non è quindi l’entità irrisoria del risparmio a rendere questa riforma insignificante e deleteria, ma il suo essere inutilmente demagogica nella forma e lesiva dei diritti democratici nella sostanza. Se proprio si intendeva portare avanti un taglio ai costi del Parlamento sull’onda dell’indignazione popolare nei confronti di alcune prerogative della classe politica ritenute ingiuste, specie in periodo di crisi, sarebbe stato sicuramente più d’effetto, ed anche più sensato ai fini del mantenimento di un’adeguata ed estesa rappresentanza, ridurre, piuttosto, stipendi ed emolumenti vari degli onorevoli, lasciando invariato il numero complessivo dei parlamentari. E poi intervenire sulla prerogativa presidenziale della nomina dei senatori a vita, obsoleto retaggio monarchico, specie perché in più di un’occasione quegli stessi senatori si sono rivelati decisivi al fine di far passare una legge o dare e togliere la fiducia ai governi e quindi dotati di un inusitato peso politico. Ora, ottenuto obtorto collo il sì compatto dell’Aula, compresi i partiti contrari fino a un mese fa, ci vorrà una riforma della legge elettorale e vedremo come sarà congegnata dalla nuova maggioranza M5S-Pd e se effettivamente la contropartita sarà lo Ius Culturae o una legge comunque ideata con l’intenzione di essere favorevole ai dem. Tornando ai motivi per cui attorno a questa riforma c’è poco entusiasmo, il taglio dei parlamentari sembra la ciliegina messa su una torta ormai diventata indigesta, dato il dietrofront pentastellato su temi ben più importanti, dall’economia al rapporto con l’Europa, dalla gestione delle migrazioni alle politiche sociali.