Ma non dovevamo vederci più? C’è stato un periodo, quello compreso tra il flop al referendum costituzionale, la débâcle alle urne e l’elezione di un altro segretario alla guida del suo partito, in cui pensavamo fosse destinato all’oblio e invece oggi non si fa che parlare di lui: il redivivo Matteo Renzi. L’ex capo del Pd e ora leader della nuova formazione scissionista Italia Viva al momento sembra dettare le regole del gioco in un governo che appare particolarmente debole, in assenza di una precisa identità e visione politica. È lui che ha contribuito in modo decisivo, con una mossa inaspettata, ad avvicinare M5S e Pd per far nascere il Conte 2 ed è sempre lui a tenere il governo sulle spine, tra pungolate sulla manovra e sull’ipotesi di taglio del cuneo fiscale, «un pannicello caldo», e allusioni in merito a intrighi internazionali tra le due sponde dell’Atlantico, «Conte ceda la delega ai servizi». Nel frattempo, in barba ad ogni senso istituzionale – ma non era questa la caratteristica principale della nuova era giallorossa da contrapporre alla barbarie sovranista? – all’indomani della nomina di ministri e sottosegretari, ormai certo di avere suoi uomini all’Avana, o per meglio dire comodamente seduti su qualche poltrona ministeriale, ha pensato bene di fondare il suo nuovo partito, finalmente tagliato su misura per lui, e andare alla conquista della terra promessa, quel luogo favoleggiato e forse inesistente del quale si narra ormai da decenni, dalla scomparsa della fu Dc, ma che nessuno è mai riuscito ad individuare: il centro. Un grande equivoco ideologico, quello di confondere la politica basata sulla dottrina sociale della Chiesa e l’attuale neoliberismo in stile Jobs Act, magari ammorbidito da qualche bonus. La sua nuova formazione, comunque, ha suscitato l’interesse di alcuni parlamentari, di sinistra, di destra o grillini, evidentemente insoddisfatti dalla precedente compagine di appartenenza, alcuni maligni sospettano anche solo per questioni meramente economiche relative a contributi al partito o taglio dello stipendio che dir si voglia. Ma tutt’altra cosa è conquistare le simpatie e soprattutto i voti al di fuori del Palazzo e al momento a Italia Viva viene attribuito un 3 massimo 4% di consensi dai sondaggisti. Un po’ poco per dare la spallata definitiva e poi doversi confrontare veramente con gli elettori, ma abbastanza per innervosire Conte, Di Maio, Zingaretti e il loro governo nato “per garantire stabilità” e invece più litigioso e traballante che mai. Si torna sempre al punto di partenza: manca un’idea chiara di Paese e l’esecutivo è retto da un unico collante, ovvero l’essere “contro”. Contro Salvini e il sovranismo, naturalmente, ma anche e soprattutto contro le urne, nel timore di veder ridimensionato dagli italiani il proprio peso politico e quindi il proprio potere.