di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Ci mancava soltanto la “giustificazione di Stato” e adesso davvero possiamo dire di averle viste tutte. Una decisione che potremmo definire creativa e che vanifica un elemento importante di crescita, soprattutto nei giovani: il sano conflitto generazionale, che non possiamo loro sottrarre. Ecco perché l’iniziativa annunciata ieri dal ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, di redigere «una circolare che invitasse le scuole, pur nella loro autonomia, a considerare giustificate le assenze degli studenti occorse per la mobilitazione mondiale contro il cambiamento climatico» ci lascia molto perplessi, pure al cospetto di una giusta causa come quella della tutela dell’ambiente.
È una mossa confutabile e al tempo stesso svilente per coloro che, magari, saranno la classe dirigente del futuro. Tutte le società crescono in base al contrasto, ma se lo Stato giustifica anziché accogliere le istanze, istituzionalizza la protesta senza preparare il terreno per un confronto serrato e franco. In altre parole: la giustificazione attenua il senso profondo della protesta. Perciò resta alquanto difficile immaginare forme autorizzate dall’alto di protesta e di sciopero, che invece devono nascere spontaneamente, sospinte da ragioni fondate ed esigenze comuni. Altrimenti, ai nostri figli e ai nostri studenti, verrebbe a mancare uno strumento essenziale nonché un passaggio decisivo delle loro esistenze e della loro evoluzione individuale e collettiva.
È altrettanto difficile immaginare, in democrazia, una rivoluzione contro il potere costituito che sia autorizzata dal medesimo potere costituito, ovvero da coloro che hanno in mano le redini di quel sistema che chi si ribella intende cambiare. Il dissenso organizzato dal potere è pratica dei regimi comunisti. L’assenza giustificata degli studenti «per la mobilitazione mondiale contro il cambiamento climatico» può, allora, apparire come il maldestro tentativo, tutto politico, di sostenere una causa in cui ci si riconosce, ma con l’effetto di sterilizzare il significato stesso della mobilitazione.
L’adolescenza, comprese le fasi che la precedono, visto che di studenti stiamo parlando, è una delle fasi più difficili e contestualmente un indispensabile passaggio non solo per coloro che la vivono, ma anche per chi, a vario titolo, dai genitori agli educatori e agli insegnanti, sono chiamati a confrontarsi con essa. Ma l’insegnamento principale che la scuola deve trasmettere agli studenti è il senso del dovere quotidiano, che passa anche attraverso quel sano conflitto generazionale di cui sopra. I giovani sono la spinta propulsiva per un domani migliore e il moto di ribellione deve essere un segnale di accrescimento per tutti, adulti compresi, soprattutto dinanzi a principi e interessi fondamentali come la famiglia, il lavoro e la sicurezza. Pur sforzandosi di leggere tra le righe l’intento educativo che, secondo il ministro dell’Istruzione, avrebbe l’assenza giustificata per una battaglia che lui ritiene evidentemente sacrosanta, l’iniziativa è da considerarsi, piuttosto, una vera e propria invasione di campo. Lasciamoli scioperare in pace, i giovani. Per responsabilizzarli, senza dar loro il pretesto di un celato disimpegno.